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Il
mondo drogato della vita a credito
di
Zygmunt Bauman
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Un quotidiano britannico ha pubblicato
la storia di un cinquantunenne che ha accumulato un debito
di 58mila sterline su 14 carte di credito e finanziamenti
vari. Con l’impennata dei costi del carburante,
dell’elettricità e del gas non riusciva più a pagare gli
interessi.
Deplorando, col senno di poi, la sconsideratezza che lo ha
gettato in questa situazione spiacevole se la prendeva con
chi gli aveva prestato il denaro: parte della colpa è anche
loro, diceva, perché rendono terribilmente facile
indebitarsi. In un altro articolo pubblicato lo stesso
giorno, una coppia spiegava di aver dovuto drasticamente
ridurre il bilancio familiare, ma esprimeva anche
preoccupazione per la figlia, una ragazza giovane già
pesantemente indebitata. Ogni volta che esaurisce il plafond
della carta di credito subito le viene offerto in prestito
altro denaro. A giudizio dei genitori le banche che
incoraggiano i giovani a prendere prestiti per acquistare, e
poi altri prestiti per pagare gli interessi, sono
corresponsabili delle sventure della figlia.
C’era un vecchio aneddoto su due agenti di commercio che
giravano l’Africa per conto dei rispettivi calzaturifici. Il
primo inviò in ditta questo messaggio: inutile spedire
scarpe , qui tutti vanno scalzi. Il secondo scrisse:
richiedo spedizione immediata di due milioni di paia di
scarpe, tutti qui vanno scalzi. La storiella mirava ad
esaltare l’intuito imprenditoriale aggressivo, criticando la
filosofia prevalente all’epoca secondo cui il commercio
rispondeva ai bisogni esistenti e l’offerta seguiva
l’andamento della domanda. Nel giro di qualche decennio la
filosofia imprenditoriale si è completamente capovolta. Gli
agenti di commercio che la pensano come il primo
rappresentante sono rarissimi, se ancora esistono. La
filosofia imprenditoriale vigente ribadisce che il commercio
ha l’obiettivo di impedire che si soddisfino i bisogni, deve
creare altri bisogni che esigano di essere soddisfatti e
identifica il compito dell’offerta col creare domanda.
Questa tesi si applica a qualsiasi prodotto, venga esso
dalle fabbriche o dalle società finanziarie. La suddetta
filosofia imprenditoriale si applica anche ai prestiti:
l’offerta di un prestito deve creare e ingigantire il
bisogno di indebitarsi.
L’introduzione delle carte di credito è stata un segno
premonitore. Le carte di credito erano state lanciate sul
mercato con uno slogan rivelatore e straordinariamente
seducente: “Perché aspettare per avere quello che vuoi?”.
Desideri una cosa ma non hai guadagnato abbastanza per
pagarla? Beh, ai vecchi tempi, ora fortunatamente andati, si
doveva procrastinare l’appagamento dei propri desideri:
stringere la cinghia, negarsi altri diletti, essere prudenti
e parchi nelle spese e depositare il denaro così racimolato
su un libretto di risparmio nella speranza di riuscire, con
la cura e la pazienza necessarie, ad accumularne abbastanza
per poter realizzare i propri sogni. Grazie a Dio e al buon
cuore delle banche non è più così! Con la carta di credito
si può invertire l’ordine: prendi subito, paghi dopo. La
carta di credito rende liberi di appagare i desideri a
propria discrezione: avere le cose nel momento in cui le
vuoi, non quando te le sei guadagnate e te le puoi
permettere.
Questa era la promessa, ma sotto c’era anche una nota in
caratteri minuscoli, difficile da decifrare anche se facile
da intuire in un momento di riflessione: quel perenne “dopo”
ad un certo punto si trasformerà in “subito” e bisognerà
ripagare il prestito. Il pagamento dei prestiti contratti
per non aspettare e soddisfare subito i vecchi desideri,
renderà difficilissimo soddisfarne di nuovi… Non pensare al
“dopo”, significò , come sempre, guai in vista. Si può
smettere di pensare al futuro solo a proprio rischio e
pericolo. Sicuramente il conto sarà salato. Più presto che
tardi arriva la consapevolezza che allo sgradevole
differimento dell’appagamento si è sostituito un breve
differimento della vera terribile punizione per l’essere
stati precipitosi. Ci si può togliere uno sfizio quando si
vuole, ma anticipare il diletto non lo renderà più
abbordabile… In ultima analisi, sarà differita solo la presa
di coscienza della triste realtà.
Per quanto nociva e dolorosa, questa non è l’unica nota in
caratteri minuscoli sotto la promessa del “prendi subito,
paga dopo”. Per evitare di limitare ad un solo prestatore il
profitto derivante dalle carte di credito e dai prestiti
facili, il debito contratto doveva essere (e così è stato)
trasformato in un bene che procuri profitto permanente. Non
riesci a ripagare il tuo debito? Non preoccuparti: a
differenza degli avidi prestatori di denaro vecchio stile,
ansiosi di veder ripagate le somme prestate entro termini
ben precisi e non differibili, noi prestatori di denaro
moderni e disponibili non ti chiediamo indietro i nostri
soldi, bensì ci offriamo di prestartene altri per pagare il
vecchio debito e avere un po’ di disponibilità (cioè di
debito) in più per toglierti nuovi sfizi. Siamo le banche
che dicono “sì”, le banche disponibili, le banche col
sorriso, come diceva una delle pubblicità più geniali.
Quello che nessuno spot diceva apertamente, lasciando la
verità ai cupi presagi del debitore, era che le banche
prestatrici in realtà non volevano che i debitori pagassero
i debiti. Se lo avessero fatto entro i termini non sarebbero
stati più in debito, ma sono proprio i loro debiti (il
relativo interesse mensile) che i moderni, disponibili (e
geniali) prestatori di denaro hanno deciso, con successo, di
riciclare come fonte prima del loro profitto costante,
assicurato (e si spera garantito). I clienti che
restituiscono puntualmente il denaro preso in prestito sono
l’incubo dei prestatori. Le persone che si rifiutano di
spendere denaro che non abbiano già guadagnato e si
astengono dal prenderlo in prestito, non sono di alcuna
utilità ai prestatori - perché sono quelli che (spinti dalla
prudenza o da un senso antiquato dell’onore) si affrettano a
ripagare i propri debiti alle scadenze. Una delle maggiori
società di carte di credito presenti in Gran Bretagna ha
suscitato pubbliche proteste (che certo avranno vita breve)
nel momento in cui ha scoperto il suo gioco rifiutando il
rinnovo delle carte ai clienti che pagavano ogni mese il
loro intero debito, senza quindi incorrere in sanzioni
finanziarie.
L’odierna stretta creditizia non è risultato del fallimento
delle banche. Al contrario, è il frutto del tutto
prevedibile, anche se nel complesso inatteso, del loro
straordinario successo: successo nel trasformare una enorme
maggioranza di uomini e donne, vecchi e giovani, in una
genìa di debitori. Perenni debitori, perché si è fatto sì
che lo status di debitore si auto-perpetui e si continuino a
offrire nuovi debiti come unico modo realistico per salvarsi
da quelli già contratti. Entrare in questa condizione,
ultimamente, è diventato facile quanto mai prima nella
storia dell’uomo: uscirne non è mai stato così difficile.
Tutti coloro che erano nelle condizioni di ricevere un
prestito, e milioni di altri che non potevano e non dovevano
essere allettati a chiederlo, sono già stati ammaliati e
sedotti a indebitarsi. E proprio come la scomparsa di chi va
a piedi nudi è un guaio per l’industria calzaturiera, così
la scomparsa delle persone senza debiti è un disastro per
l’industria dei prestiti. Quanto predetto da Rosa Luxemburg
si è nuovamente avverato: comportandosi come un serpente che
si mangia la coda il capitalismo è nuovamente arrivato
pericolosamente vicino al suicidio involontario, riuscendo
ad esaurire la scorta di nuove terre vergini da sfruttare…
Negli Usa il debito medio delle famiglie è cresciuto negli
ultimi otto anni - anni di apparente prosperità senza
precedenti- del 22 per cento. L’ammontare totale dei
prestiti su carta di credito non pagati è cresciuto del 15%.
E , cosa forse più minacciosa, il debito complessivo degli
studenti universitari, la futura élite politica, economica e
spirituale della nazione, è raddoppiato. L’insegnamento
dell’arte di “vivere indebitati”, per sempre, è ormai
inserito nei programmi scolastici nazionali… Si è arrivati a
una situazione molto simile in Gran Bretagna. Il resto dei
Paesi europei segue a non grande distacco. Il pianeta
bancario è a corto di terre vergini avendo già
sconsideratamente dedicato allo sfruttamento vaste
estensioni di terreno sterile.
La reazione finora, per quanto possa apparire imponente e
addirittura rivoluzionaria per come emerge dai titoli dei
media e dalle dichiarazioni dei politici, è stata la solita
: il tentativo di ricapitalizzare i prestatori di denaro e
di rendere i loro debitori nuovamente in grado di ricevere
credito, così il business di prestare e prendere in
prestito, dell’indebitarsi e mantenersi indebitato, potrebbe
tornare alla “normalità”. Il welfare state per i ricchi (che
a differenza del suo omonimo per i poveri non è mai stato
messo fuori servizio) è stato riportato in vetrina dopo
essere stato temporaneamente relegato nel retrobottega per
evitare invidiosi paragoni. Lo Stato ha nuovamente flesso in
pubblico muscoli a lungo rimasti inattivi, stavolta al fine
di proseguire il gioco che rende questo esercizio ingrato
ma, abominevole a dirsi, inevitabile; un gioco che
stranamente non sopporta che lo Stato fletta i muscoli, ma
non può sopravvivere senza.
Quello che si dimentica allegramente (e stoltamente) in
quest’occasione è che l’uomo soffre a seconda di come vive.
Le radici del dolore oggi lamentato, al pari delle radici di
ogni male sociale, sono profondamente insite nel nostro modo
di vivere: dipendono dalla nostra abitudine accuratamente
coltivata e ormai profondamente radicata di ricorrere al
credito al consumo ogni volta che si affronta un problema o
si deve superare una difficoltà. Vivere a credito dà
dipendenza come poche altre droghe, e decenni di abbondante
disponibilità di una droga non possono che portare a uno
shock e a un trauma quando la disponibilità cessa. Oggi ci
viene proposta una via d’uscita apparentemente semplice
dallo shock che affligge sia i tossicodipendenti che gli
spacciatori: riprendere (con auspicabile regolarità) la
fornitura di droga.
Andare alle radici del problema non significa risolverlo
all’istante. È però l’unica soluzione che possa rivelarsi
adeguata all’enormità del problema e a sopravvivere alle
intense, seppur relativamente brevi, sofferenze delle crisi
di astinenza.
Traduzione di Emilia Benghi
(Da: Repubblica, del 8-10-2008)
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