|
LA lunga
marcia verso l'uguaglianza
di Simonetta Fiori |
Pochi simboli come Obama primo
presidente nero alla Casa Bianca restituiscono il lungo e
controverso cammino della cultura dei diritti umani. Il
clamore della novità può essere commisurato alla lentezza
del percorso. Nelle lacrime del reverendo Jesse Jackson è la
denuncia d´un vergognoso ritardo. Possibile che soltanto al
principio del XXI un uomo di colore sia autorizzato a
varcare la soglia della Casa Bianca, per di più tra molti
timori? E´ anche questo il segno d´una storia complicata,
ricca di paradossi e contraddizioni, ora raccontata per la
prima volta da Marcello Flores nel suo intreccio tra
elaborazione ideale e azione concreta (Storia dei diritti
umani, il Mulino, pagg. 368, euro 25). «Il percorso storico
dell´attuazione dei diritti umani è assai più lento e
accidentato rispetto alla consapevolezza teorica. Ma questa
distanza tra auspicio e concretizzazione, tra ambizioni
universalistiche e capacità pratica assai parziale di
realizzarle, va valutata storicamente: non può essere un
pretesto per liquidare la questione dei diritti come inutile
retorica».
L´incoerenza è uno dei tratti distintivi di questa lunga
storia, riproposta alla vigilia del sessantesimo
anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti,
sancita dalle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948.
Un´epopea, che vede in prima linea le donne, da Olympe de
Gouges a Mary Wollstonecraft, da Florence Nightingale a
Emily Hobhouse fino a Eleanor Roosevelt, artefice di
delicate mediazioni alla guida della Commissione che con la
Dichiarazione Universale intendeva chiudere l´epoca della
violenza e dell´orrore. «Non è un caso che siano figure
femminili a scrivere questo racconto lungo due secoli, e che
ancora oggi ne siano protagoniste, essendo esse stesse
vittime di un´esclusione».
Anche alla metà del Settecento, momento fondante per la
cultura dei diritti, all´interno della civiltà occidentale
coesistono tensioni opposte e non poche ambiguità: da una
parte la lotta contro l´arbitrio nella giustizia e
nell´eguaglianza, dall´altra la perpetuazione di
discriminazioni verso le donne e di pratiche spietate come
la tratta degli schiavi, su cui si regge l´economia
colonialista. «La storia dei diritti», spiega Flores, «non
ha un risultato definitivo: è un processo a tappe, mai
garantite una volta per tutte. Fin dal principio la
contraddizione ne è un tratto costante. Sia la Rivoluzione
francese che quella americana sanciscono l´eguaglianza di
tutti gli uomini, ma in realtà si rivolgono al "maschio",
"bianco" e "proprietario". Schiavi e donne ne sono escluse.
Ma fu grazie alla circolazione di quelle idee che più tardi
saranno sconfitte la schiavitù e l´emarginazione femminile».
Da nuovi fermenti germogliano, pur in un paesaggio
contrastato, nuove aspettative. E soprattutto piccole azioni
concrete, condotte da personalità spesso ignorate dai libri
di storia, ma non meno rivoluzionarie rispetto ai Beccaria,
Voltaire, Montesquieu.
«Mentre i philosophes diffondono idee destinate a
influenzare il pensiero moderno, un gruppo di uomini e donne
coraggiosi s´appresta a favorire una rivoluzione culturale e
giuridica altrettanto rilevante». E´ il caso degli inglesi
Grandville Sharp e Thomas Clarkson che, da una piccola
stamperia vicino a Londra, mossero la loro battaglia contro
la tratta degli schiavi, che solo vent´anni dopo porterà
all´abolizione del commercio degli schiavi da parte del
Parlamento inglese. «Risale al 1787 la loro minuscola
"Società per l´abolizione del commercio di schiavi", una
delle primissime associazioni affidate al volontariato.
Tante ne sarebbero scaturite negli anni a venire, procedendo
parallelamente alla storia delle idee».
Non sarà priva di contraddizioni anche la "svolta"
successiva, alla metà del XX secolo, quando la Dichiarazione
Universale estese i diritti umani a tutti, senza distinzioni
e discriminazioni, rimarcando la volontà sovranazionale
rispetto al potere delle singole nazioni. «Fu un fatto
rivoluzionario. Ma i tre decenni successivi saranno
giudicati da molti analisti un periodo di insuccesso
continuo. Anche quello dei diritti divenne terreno di
scontro: i diritti civili e politici dell´Occidente versus i
diritti economici e sociali dell´Unione Sovietica. Bisognerà
aspettare la fine della guerra fredda per poter vedere
realizzati alcuni principi».
Ancora oggi, dopo rinnovate battaglie e un´accresciuta
sensibilità, le incoerenze appaiono insanabili. Sorti
perlimitare il potere, i diritti umani lo hanno spesso
legittimato attribuendogli nuove responsabilità. «I diritti
non possono che essere garantiti dal potere», dice Flores,
«però sappiamo quante difficoltà nascondano le stesse
democrazie. L´emergenza del terrorismo internazionale ha
indotto Gran Bretagna e soprattutto Stati Uniti a
legislazioni che limitano i diritti in nome della battaglia
contro i terroristi. Però tra i primi annunci di Obama
figurano la chiusura del carcere di Guantanamo e il ritiro
dei soldati dall´Iraq: segno che nello stesso Occidente
vivono anime diverse».
Quella dell´Occidente e i diritti umani è una relazione
complessa, densa di ombre dissimulate, spesso usata
strumentalmente per spegnere ogni tentativo di dialogo
multiculturale. «Si ritiene a torto che solo l´Occidente,
per storia e tradizione, abbia un legame solido e coerente
con la cultura dei diritti umani. Uno sguardo pur succinto
alla storia occidentale aiuta a sgombrare il campo da questo
equivoco. Le società europee del passato non hanno avuto,
per la maggior parte della propria storia, alcuna tradizione
fondata sui diritti umani. Discorso analogo vale per la
democrazia, che diventa saldamente maggioritaria in Europa
solamente nel corso del XX secolo, talvolta soccombendo a
ideologie totalitarie e regimi dittatoriali fondati su
disvalori anch´essi tipicamente occidentali». Un conto è
dunque rintracciare nel pensiero e nella storia occidentale
i contributi più significativi per una cultura dei diritti
umani, «diverso è invece ritenere che questa sia connaturata
alla civiltà occidentale e ne abbia segnato in modo coerente
l´evoluzione».
Palese intento strumentale è riscontrabile in chi oggi
rifiuta la cultura dei diritti umani in nome del
«relativismo culturale», posizione manifestata anche di
recente in difesa dei «valori asiatici». «I decenni che ci
separano dal 10 dicembre del 1948 hanno visto la crescente
partecipazione sul tema dei diritti di personalità,
organismi, gruppi, associazioni tutt´altro che riconducibili
esclusivamente alla cultura dell´Occidente. A meno di non
considerare "plagiato" o "egemonizzato" chiunque si dichiari
in Africa, Asia o Medio Oriente a favore dei diritti umani,
gran parte dei contributi innovativi su questo terreno
provengono proprio da ambiti culturali non occidentali e da
esperienze di sincretismo culturale che sono un risultato
storico della globalizzazione».
Il terreno della tutela dei diritti umani rischia di essere
abbandonato anche da quelle democrazie che, come la nostra,
lo ritengono poco fruttuoso in termini elettorali e di
consenso popolare. La colossale crescita dell´immigrazione è
un delicato banco di prova. «Come può il sindaco di una
grande città italiana come Milano negare il diritto
all´istruzione primaria dei figli degli immigrati
irregolari? L´educazione e la salute sono diritti
sacrosanti. Se non si vuole rispettarli, si va contro la
Dichiarazione Universale». Una consapevolezza che però
frequentemente manca nel dibattito pubblico, in Italia e
altrove.
«Le condizioni dei carcerati e la vita dei senzatetto spesso
non rispettano la dignità dell´uomo, però facciamo finta di
niente. Le voci più incisive provengono per la massima parte
dal mondo cattolico, il più vigile verso la cultura dei
diritti. Anche da noi prevale la paura di fare i conti con
le nostre incoerenze. Esserne consapevoli, al contrario, è
l´unico modo per non arretrare nella difesa di principi
fondamentali».
contributo dal sito:
www.fondfranceschi.it |
|