Non bisogna arrendersi
all'analfabetismo ma lottare per l'alfabetizzazione
dei nostri giovani e contro l'analfabetismo
di ritorno degli adulti. Questo articolo per
riflettere in merito. |
Analfabeti,
un popolo in crescita.
Sono quasi sei milioni, altri 13 a rischio
Alessandra Muglia
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Tra pochi giorni, l'8 settembre, l'Unesco
celebra la giornata mondiale per la lotta all'analfabetismo.
E subito il pensiero va all'Africa dove si concentra gran
parte degli oltre 750 milioni di «illetterati » presenti
sulla Terra (due terzi sono donne, 72 milioni di bambini non
sono mai andati a scuola). Ma la Giornata ha un senso anche
per l'Italia, dove questa è una battaglia tutt'altro che
vinta. Anzi, per certi aspetti, è una sfida nuova. Perché
accanto al plotone di «vecchi» analfabeti sta nascendo un
nuovo esercito di giovani e adulti. Un magistrato di
Firenze, Silvia Garibotti, ha raccontato dei numerosi casi
in cui i testimoni non sono in grado di leggere la formula
di rito. Attilio Paparazzo, responsabile nazionale Cgil
scuola, riferisce che «spesso i bidelli che arrivano in
provveditorato per iscriversi nelle graduatorie scolastiche
fanno fatica a inserire i propri dati o a leggere il modulo
"sono cittadino italiano, dichiaro di aver assolto gli
obblighi di leva"». Un esercito, insomma, del quale fanno
parte quanti leggono e scrivono in modo talmente limitato da
non riuscire a compiere le funzioni di base per essere
cittadini a pieno titolo. Perché oggi l'alfabeto non basta
più per orientarsi nella vita di tutti i giorni. C'è chi ha
bisogno di un appoggio per compilare un bollettino postale o
per capire il senso di un testo anche breve. Basta
appostarsi a una qualsiasi stazione ferroviaria per
accorgersi di quanti per acquistare il biglietto
preferiscono la coda allo sportello piuttosto che seguire le
istruzioni di una macchina con tempi d'attesa pari a zero.
C'è chi non riesce a scrivere due righe di presentazione per
cercare un posto di lavoro. L'Unesco li definisce
«analfabeti funzionali»: un terzo degli italiani lo è,
secondo alcune ricerche internazionali. E un altro terzo
rischia di diventarlo. Sono molti di più dunque rispetto ai
«vecchi» analfabeti che l'Istat stima in 782mila. Se però,
come ha fatto l'Unla (associazione nazionale per la lotta
contro l'analfabetismo), a questi si aggiungono coloro che
hanno frequentato soltanto qualche anno di scuola senza
arrivare alla licenza elementare, si arriva a sei milioni di
persone. Non solo. Il presidente storico dell'Unla Saverio
Avveduto si spinge oltre, ricordando la regola del «meno
cinque»: se le conoscenze acquisite a scuola non vengono
utilizzate regrediscono di cinque anni rispetto al livello
massimo raggiunto. Ecco così che tra gli analfabeti si può
far rientrare buona parte di coloro che si sono fermati alla
licenza elementare. E il numero finisce così per sfiorare i
20 milioni di persone: il 36,5% della popolazione, tra chi
non è mai andato a scuola e gli analfabeti di ritorno. Un
approccio, quello dell'Unla, contestato da più parti (non è
detto, si è obiettato, che chi si ferma alle elementari non
tenga vive per conto suo le competenze sviluppate) ma nella
sostanza «non fallace», secondo il linguista Tullio De
Mauro. Che un terzo della popolazione italiana sia
analfabeta è stato confermato anche da due ricerche
internazionali che non si basano su autocertificazioni, ma
sull'osservazione diretta degli intervistati e delle loro
effettive capacità, a prescindere dal livello di istruzione
dichiarato. Le hanno condotte Statistic Canada e Ocse,
sottoponendo a campioni di popolazione adulta (16-65 anni)
questionari graduati: uno preliminare e cinque con
difficoltà crescente.
Risultato della prima indagine (Ials, International adult
literacy studies): quasi il 5% della popolazione italiana
adulta non è in grado di affrontare qualsiasi tipo di
questionario scritto. Si tratta di due milioni di persone.
Il 33% di quelli che rispondono al questionario si ferma al
primo gradino della scala di valutazione. Un secondo 33% fa
un passo in più nella lettura e comprensione dei testi e
raggiunge il secondo livello: abbozza soltanto qualche
risposta. Dalla seconda indagine (All) l'analfabetismo
funzionale di ritorno appare dove meno lo si aspetta: tra i
laureati (20%) e i diplomati (30%). La stessa indagine
indica che meno del 20% degli italiani supera quel livello
minimo di capacità alfabetiche che servono a orientarsi in
una società moderna, contro percentuali del 50% in Svizzera
e Usa, 60% in Canada e 64% in Norvegia. Complice di questa
situazione la dispersione scolastica. «Il dato più
sconvolgente — spiega Marco Rossi Doria, "maestro di strada"
a Napoli e membro della commissione sull'esclusione sociale
che sta per consegnare il suo rapporto annuale al Parlamento
— è che il 21,9% dei ragazzi tra 16 e i 24, uno su cinque,
appartiene agli early school leavers, giovani che non hanno
raggiunto una licenza di scuola media superiore né una
qualifica professionale». In Europa la media è del 14,9%. E
pensare che l'obiettivo europeo stabilito a Lisbona nel 2000
è che ogni Stato scenda sotto il 10 per cento entro il 2010.
«I fallimenti a scuola — spiega Rossi Doria — si concentrano
nelle aree del Mezzogiorno dove, a differenza che al
Centro-Nord e in parte della Sardegna, non vengono
compensati da iscrizioni alla formazione professionale».
In Italia, secondo l'Istat, lavorano 144.000 bambini tra i 7
e i 14 anni. Ma per l'Ires (e per la Cgil) la cifra arriva a
400mila bambini. Per questo la giornata dell'alfabetizzazione
è un'occasione per rilanciare campagne contro il lavoro
minorile, come quella Stop child labour. School is the best
placet to work ispirata dalla Ong indiana MV Foundation e
promossa in Europa da Alliance2015, network europeo di sei
Ong impegnate nella cooperazione allo sviluppo, tra cui il
Cesvi per l'Italia. Anche la «base» si mobilita: un gruppo
di studenti di San Salvario a Torino ha scritto una lettera
agli allievi del biennio di tutta Italia perché si uniscano
a loro nella richiesta di una scuola più seria. Li segue
Domenico Chiesa, insegnante di filosofia e pedagogia in
pensione, e per anni consulente del ministero: «Nel '900 la
scuola elementare è stata un baluardo contro
l'analfabetismo, in un mondo contadino e artigiano bastava.
Per battere l'analfabetismo di oggi bisogna ripensare la
scuola media e superiore in modo che riesca a dare le basi
culturali di fondo e stimolare la voglia di apprendere. Mica
può farlo Piero Angela».
da Il Corriere della Sera 6 settembre 2008
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