«Perché cercate fra
i morti Colui che è vivo? Non è qui…» (Lc 24, 5-6)
Il corpo di Pier Paolo Pasolini.
Sbranato, lacerato, conteso – ancora caldo e poi, a
seguire, per 35 anni – da prefiche il cui lamento
inconsolabile ha lo scopo di usurparne la voce e il
ruolo, disinnescandone l’eredità. Corpo ignorato e
cancellato dalla pornografia della cultualità di
chi, in teatro, in letteratura, altrove, se ne
appropria per autolegittimarsi, profanandolo a ogni
citazione con la scusa ricattatoria dell’omaggio. I
parassiti - l’epoca li acclama – amano accanirsi sui
corpi che non gli appartengono, contenderseli, i
corpi fulgidi degli altri, perché loro stessi, in
apparenza ancora in vita, non ne hanno uno. Il corpo
di Pier Paolo Pasolini è uno di questi. Il corpo che
foto, film, registrazioni magnetiche e riversamenti
digitali - macchine del replicamento, la cui
irrevocabile sconfitta consiste nel nascondere ciò
che aspirano a mostrare – non ci restituiranno. Non
c’è imago, né documento, infatti, in grado di farci
intravedere almeno l’ombra di quel corpo, vivo e
vegeto solo ed esclusivamente nell’opera - come la
convenzione chiama i mondi ri‑creati e autonomi
dell’intuito – nelle rappresentazioni con cui, in
vita, come ogni scrittore, Pier Paolo Pasolini ha
curato febbri, cicatrici, euforie, furori.
Le vedove di PPP non sanno o
preferiscono nascondere, canonizzandolo, che il
corpo di Pier Paolo Pasolini, la sua opera, non è
visibile, non giace nella quantità di bit, di pixel,
di HD, carta o pellicola di uno stupido supporto. Il
più patinato, il più minimalista dei supporti su cui
si scriverà o tornerà a riscriversi quel corpo non
gli corrisponderà. Perché il corpo di uno scrittore
(di una scrittura), se è tale, risorge
nell’incorporeo, enigmatico, sbalorditivo incontro
fra ciò a cui allude la lingua-grammatica-sintassi
che lo scrive e ciò che, interrogandosi, risponde
chi vi partecipa, leggendolo, guardandolo, godendone
e, persino, detestandolo. Tutto il resto,
classificazioni e ordinamenti razionali o
accademici, che non hanno il coraggio di nominare
l’urto impalpabile prodotto da quell’incontro, è
sterile autopsia, aneddotica obitoriale. Piangano
pure, le vedove, per le ragioni più diverse, non
sempre ingenue o edificanti. Soffochino fra i
singhiozzi, sorde alla voce dell’angelo che indica
dov’è Pier Paolo Pasolini.
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