ANDARE AVANTI
...PROVARE ANCORA ...
NON ARRENDERSI |
"Sembrava che ridesse sempre, anche quando
parlava serio. Anche in questa foto qui sopra dove forse
ride davvero, chissà, non è proprio un sorriso in effetti: è
quel suo modo di stare al mondo con i pugni chiusi, la
fronte alta, la coscienza limpida e nelle parole un dubbio,
sempre. Alla fine di ogni frase una domanda, perpetua
ricerca. Mai un lamento. Di tutti gli altissimi insegnamenti
che Vittorio Foa, morto alla fine di un secolo irripetibile,
ci lascia in dote questo che sembra un dettaglio mi pare
stasera il più grande. Quel sorriso, diverso e lo stesso in
tutte le foto e i ricordi. Ciò che in una vita come la sua
un sorriso perpetuo significa: andare avanti, pensare agli
altri, provare ancora, non chiudersi, non arrendersi, anche
il dolore è un dono che porta sempre altrove, è un compagno
e un amico. C’è dell’altro, dopo. Venite e vedrete.
Questo il lascito, questo quel che ciascuno dovrebbe provare
a portare con sé. I più giovani specialmente. Quelli che non
hanno avuto e non avranno la possibilità di sperare in un
riscatto definitivo e radicale perché non hanno avuto quel
passato e quel presente, non hanno avuto quella storia. Lo
ascoltavano in un silenzio solido, infatti, i ragazzi.
Sentivano bene la densità pesante – il monito - di quel
sorriso al posto del pianto. Una sera d’autunno di molti
anni fa (è un piccolo ricordo, ce ne sono mille più
emblematici ma si sa come funziona la memoria: seleziona
gerarchie segrete) Foa si presentò nella sala della Società
psicanalitica italiana a parlare ad una platea di giovani
studiosi e di studenti di un tema intitolato “Il mestiere di
un uomo libero”. Che la libertà sia un mestiere, una fatica
da conquistare ogni giorno sarebbe stato già da solo materia
di riflessione silenziosa: bastava il titolo. Parlò a lungo,
per regalo. Sempre con quel sorriso che esibiva i denti
radi, con gli occhiali troppo grandi e un po’ storti, il
bastone da un lato. Raccontò dei suoi anni in prigione:
trasformò il carcere in un privilegio. Ne disse con
leggerezza, con pudore e con semplicità. Fu chiaro – dopo
pochi minuti, fu chiaro a tutti – come patire la galera
fosse stato un modo, il modo scelto dalla vita, per andare
incontro al futuro e decifrare il presente. Un’esperienza
fortunatissima, sembra pazzesco no?, eppure proprio così,
una risorsa per capire le cose, sentirle, andarci in fondo e
che peccato per quelli che devono faticare tanto per
arrivarci comunque, anche senza prigione, che sforzo dovete
fare voi che non avete avuto questa stessa sorte ma non
preoccupatevi, adesso ve lo racconto. Faceva solo domande:
sembravano tutte risposte. Alla fine rimase a lungo fuori,
sul marciapiede che corre accanto al parco, di notte. I
giovani gli chiedevano della sua vita, lui replicava
informandosi della loro. Di cosa vi importa, per cosa vi
arrabbiate? chiedeva. Non restate in silenzio, fate del
silenzio una ricerca. E difatti in quella lettera che poi
Ronconi ha messo in scena, in quel libro intitolato “Il
silenzio dei comunisti” domanda a Miriam Mafai e ad Afredo
Reichlin: «Cara Miriam, caro Alfredo, erano milioni in tutto
il mondo e anche in Italia gli uomini e le donne che si
dicevano comunisti: militanti, iscritti, elettori,
simpatizzanti. In Italia pochi anni fa più di un terzo dei
cittadini si dicevano tali. Ora stanno in grande parte in
silenzio, il loro passato è cancellato nella memoria. Sento
acutamente, quasi come un’ossessione, questo silenzio.
Tendono a scomparire i testimoni di un’esperienza e insieme
si oscura un pezzo della nostra storia. L’anticomunismo a
vuoto non è forse paura? Perché si ha paura? di che cosa? Il
silenzio non è necessariamente un male. Da esso nasce la
parola: nella parola si chiudono i problemi mentre nel
silenzio essi restano aperti». Quale idea è rimasta vuota?
Quale speranza? Il disegno di una società giusta? «Oppure,
cosa ancora più grave, il distacco è da un’identità,
individuale o collettiva?». L’identità, di questo parlava
ancora negli ultimi giorni quando temeva per Obama, il sogno
americano, e quando insisteva che certo bisogna coltivare il
nostro, in Italia, e crederci, e costruirlo perché altra
strada non c’è : alternativa non è data. Un ragazzo,
sembrava. Con tutta la vita davanti, tutti i nostri ieri nel
sorriso pieno di dolore e di coraggio".
Quel sorriso
di Concita de Gregorio
dall'Unità /21 0ttobre 2008
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