Sarebbe utile
interrogarsi sulla docilità, una qualità che ben
rappresenta l'Italia di oggi.
Chi detiene il potere politico non è naturalmente amico
del dissenso e di chi lo esercita, nemmeno quando al
potere vi giunge per vie democratiche e la sua azione di
governo è limitata da lacci costituzionali. Grazie al liberalismo,
che del potere ha una visione giustamente diffidente e
pessimista, le società moderne sono riuscite a
imbrigliare le tendenze tiranniche e dispotiche di
governi e governanti e infine a eliminare l'uso della
violenza dalla politica.
Diceva Tocqueville che il diritto e le costituzioni
hanno reso la politica dolce perché hanno fatto posto al
dissenso. I diritti che tutelano la nostra libertà
individuale, non solo quella che ci consente di
possedere cose materiali ma anche quella che ci rende
sovrani sul nostro corpo e la nostra mente, sono un
baluardo imprescindibile contro il potere, anche
legittimo.
Per questa ragione, una società libera è l'opposto di
una società docile. Ma le cose sono più complicate di
come se le immagina la teoria. Una società libera ha
bisogno del dissenso. Anzi è desiderabile che la
diversità di opinioni vi si manifesti e si esprima
liberamente perché è grazie a questa diversità che il
gioco politico può svolgersi e le maggioranze
alternarsi.
Ma la cultura dei diritti può purtroppo stimolare anche
una diversa attitudine: può indurre i cittadini ad
abituarsi a perseguire il godimento dei loro diritti
individuali disinteressandosi a quanto avviene nella
sfera politica, salvo recarsi alle urne nei tempi
stabiliti.
La società democratica può facilitare la formazione di
una società docile perché indifferente alla
partecipazione politica.
Lo può fare perché e fino a quando i diritti essenziali
sono protetti per la grande maggioranza e non si danno
quindi ragioni di dissenso. Sono le minoranze il vero
problema (o, per l'opposto, la salvezza) delle società
democratiche mature, perché sono loro a esprimere
dissenso, a rivendicare spazi di azione che non sono in
sintonia con quelli della maggioranza – se poi queste
minoranze sono per giunta culturali e etniche, non
semplicemente di opinione, allora decidere di non
ascoltarle e perfino di reprimerle e perseguitarle può
non essere visto dall'opinione generale come un problema
di violazione di diritti. La società docile non
è una società che ha rinunciato ai diritti o che non è
più liberale. È invece una società nella quale la
maggioranza è soddisfatta del proprio grado di libertà e
dei propri diritti e trova fastidioso che ci siano
minoranze non domate, non silenziose e omologate, che
facciano richieste che non collimano con le proprie
(come nel caso di una minoranza religiosa che chiede che
il diritto di culto sia rispettato anche quando il culto
è diverso da quello della maggioranza).
Società democratica docile, dunque, e per questo
autoritaria e paternalista.
La docilità è una qualità che si predica degli animali
non degli uomini; è un obiettivo che i domatori si
prefiggono quando cercano di abituare un animale a fare
meccanicamente determinate cose. Al moto della mano del
padrone il cane sa quel che deve fare e lo fa.
Docilità significa non avere una diversa opinione di
come pensare e che cosa fare rispetto all'opinione
preponderante; significa accettare pacificamente quello
che il padrone di turno, per esempio l'opinione generale
di una più o meno larga maggioranza, crede, ritiene e
vuole. Sono ancora una volta
i liberali che ci hanno fatto conoscere questo lato
inquietante del potere moderno.
Un lato che si è mostrato quando il potere è riuscito ad
avvalersi di strumenti nuovi; strumenti che si sono
presto rivelati congeniali a un potere che si serve
delle parole e delle opinioni per restare in sella, che
può rinunciare alla violenza sui corpi perché si radica
nell'anima dei suoi sudditi, se così si può dire. Mentre gli antichi
tiranni e monarchi assoluti usavano la tortura e le
punizioni esemplari nelle pubbliche piazze, il moderno
potere fondato sull'opinione non ha più bisogno di usare
la violenza diretta (e se la usa, si guarda bene dal
farlo in pubblico); usa invece una specie di
addomesticamento che produce, come scriveva Mill, una
forma di "passiva imbecillità". I cittadini docili
assomigliano a una massa di spettatori: in silenzio ad
ascoltare e, semmai, giudicare alla fine dello
spettacolo con applausi o fischi. La politica come
spettacolo non assomiglia a un agone ma a una sala
cinematografica. Il dissenso, la virtù forse più
importante in una democrazia che si regge sull'opinione
mediatica, è tacciato di generare destabilizzazione,
offeso e denigrato. Il buon cittadino non dissente, ma
segue, accetta e opera con solerte consenso. Una voce
fuori del coro è castigata come fosse un'istigazione al
terrore; un'opinione che contesta quella della
maggioranza è additata come segno di disfattismo. Questa Italia
assomiglia a una grande caserma, docile, assuefatta,
mansueta. Che si tratti di persone di destra o di
sinistra la musica non sembra purtroppo cambiare:
addomesticati a pensare in un modo che pare essere
diventato naturale come l'aria che respiriamo, vogliamo
che i sindaci si facciano caporali e accettiamo di buon
grado che ci riempiano la vita quotidiana di divieti e
consigli (sulle spiagge della riviera romagnola due
volte al giorno da un altoparlante fastidioso le
autorità ci fanno l'elenco di tutte le cose che non
dobbiamo fare per il nostro bene e se "teniamo alla
nostra salute").
Come bambini, siamo fatti oggetto della cura da parte di
chi ci amministra, e come bambini ben addomesticati
diventiamo così mansueti da non sentire più il peso del
potere. È come se dopo anni di
allenamento televisivo siamo mutati nel temperamento e
possiamo fare senza sforzo quello che in condizione di
spontanea libertà sarebbe semplicemente un
insopportabile giogo.
La cultura della docilità non pare risparmiare nessuno,
nemmeno coloro che per ruolo istituzionale dovrebbero
esercitare il dissenso. Commissioni bipartisan nascono
ogni giorno; servono ad abituarci a pensare che
l'opposizione deve saper essere funzionale alla
maggioranza, diventare un'opposizione gradita alla
maggioranza. Un'opposizione che semplicemente si oppone
e critica e dissente pare un male da estirpare, il segno
di una società non perfettamente docile.
da La Repubblica 20 agosto 2008