"O si è un seduttore o non si è uno scrittore. Se non si è convinti
di stare usando le parole più belle del mondo, della necessità di
raggiungere con quelle parole un ordine esteticamente perfetto che
riempirà di ammirazione chi legge, non si sta credendo in ciò che si
scrive. Non si può fare nulla in letteratura se non si parte dalla
premessa fondamentale che si scrive per sedurre il lettore."
Un romanzo è sostanzialmente il racconto di una vicenda e tutto ciò
che è superfluo va eliminato: questa è la tesi e il metodo di lavoro
di quel grande scrittore che è Luis Sepúlveda e proprio questa idea
della scrittura indica come l'essenzialità e la capacità di sintesi
sia una delle doti più difficili da possedere. Che cosa è più
difficile? Sicuramente tagliare, potare l'albero di parole che si è
creato e che di certo fa ombra all'idea centrale del racconto.
Le parole poi devono essere funzionali ai temi che vogliono essere
comunicati e non amate in sé, tutto ciò in una visione di contenuti,
di concetti e nella concezione stessa della vita che un uomo ha.
Due scrittori, Luis Sepúlveda e Bruno Arpaia, così simili e così
diversi, dialogano sulla letteratura e sull'etica, sulla tecnica e
sulle scelte, e ciò che emerge è principalmente la stretta unione
tra arte e vita, tra uomo e scrittore.
Così il dolore, la sofferenza provata non possono diventare materia
della scrittura se non quando la vittima ha raggiunto un certo
distacco e sa rendere la propria esperienza in modo universale e non
solo strettamente autobiografico.
Ma l'elemento che dà maggior fascino (e che le discrete domande di
Arpaia evidenziano) al personaggio Sepúlveda è la sua vita
avventurosa e drammatica, la coerenza e l'onestà intellettuale che
hanno caratterizzato opere e scelte. Così emerge dal libro come lo
scrittore cileno non abbia reputato per anni possibile per lui
trasferire direttamente sulla pagina la propria esperienza, anche se
avrebbe potuto rappresentare un modello, ma abbia dovuto far
trascorrere molto tempo perché la violenza subita era stata
eccessiva e non riusciva a trovare parole adeguate a descriverla.
Così si nota l'attenzione al linguaggio, al termine, allo stile
oltre che al "messaggio". Altro elemento da segnalare è la lucida
capacità di osservare le trasformazioni politiche ed economiche in
atto, e la determinazione con cui si schiera (è un suo antico vizio)
dalla parte dei perdenti e dei deboli. Così il Sud, del Cile in
particolare e del mondo in generale, ha rappresentato la materia
privilegiata del suo narrare e la Patagonia con gli immensi spazi e
gli immensi silenzi è, grazie a Sepúlveda, diventato un luogo
dell'immaginario collettivo, un luogo in cui perdersi è ritrovarsi,
e la fantasia può compiere vagabondaggi senza confini.
Si deve ringraziare Bruno Arpaia per la capacità di sollecitare
l'interlocutore con domande stringate e che volutamente danno spazio
all'intervistato.
Raccontare, resistere. Conversazioni con Bruno Arpaia di Luis
Sepúlveda
148 pag., Euro 9.50 - Edizioni Guanda (Quaderni della Fenice)
Di Grazia Casagrande
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