9 A
proposito di
farfalle
21 La farfalla
22 Il primo giorno della mia vita
26 La farfalla azzurra
29 La saturnia del pero
40 In dedica, su un libro di poesie 41
L' apollo 45
La farfalla nel
vino
46 La flavia
52
Confessione
53 Farfalle indiane
65 Farfalle di fine estate
66 Una farfalla del Madagascar
72 Il disilluso
73 Una farfalla notturna
74 Scritto sulla sabbia 79
La antiopa 80
Sole di marzo
81 Fine dell'estate
82 Viandante d'autunno
85 Appendice
L'anima, la vita e la farfalla
di Alberto Zilli
91 Indice delle
tavole
di Walter
Linsenmaier
Pagina
5
Tra gli scrittori
tedeschi del XX secolo,
Hesse è sicuramente
quello che ebbe il
rapporto più intenso con
le farfalle.
Tutta la sua
attività è disseminata
di momenti di attenzione
e di ispirazione dettati
dall'incontro con le
farfalle: dal suo primo
romanzo Scritti e
poesie postume di
Hermann Lauscher
(1930) agli ultimi diari
(1955).
Raccoglieva
farfalle fin da bambino,
e persino nel diario del
viaggio in India vi sono
annotazioni su questa
sua passione. In una
lettera del 1926 Hesse
scriveva: "Ho sempre
avuto un interesse per
le farfalle e altre
fugaci e caduche
meraviglie, mentre non
mi sono mai riuscite
relazioni durature,
solide e, per cosí dire,
sicure".
Questo volumetto
raccoglie racconti,
ricordi, poesie,
riflessioni, brani
tratti da opere diverse.
I disegni
riprodotti nelle tavole
sono opera di Walter
Linsenmaier, oggi
considerato uno dei
massimi specialisti in
disegno, fotografia e
pittura di animali,
specialmente di insetti.
I disegni sono tratti
dalla sua opera
Insects of the World,
edito dalla Mc
Graw-Hill Book Company.
Walter Linsenmaier vive
in Svizzera, dove ha
fondato un museo
zoologico.
A proposito
di farfalle
Tutto il visibile è
espressione, tutta la
natura è immagine, è
linguaggio e colorato
geroglifico. Nonostante
una scienza della natura
molto evoluta, oggi non
siamo affatto ben
preparati, né educati a
una corretta
osservazione e, rispetto
alla natura, ci troviamo
piuttosto sul piede di
guerra. Altri tempi,
forse tutti i tempi e
tutte le epoche
antecedenti la conquista
della terra da parte
della tecnica e
dell'industria, hanno
avuto sensibilità e
comprensione per il
magico linguaggio dei
segni della natura e
sapevano decifrarlo in
modo piú semplice e
innocente di noi. Questa
sensibilità non era
assolutamente qualcosa
di sentimentale: il
rapporto sentimentale
dell'uomo con la natura
è un fatto recente,
forse scaturito dalla
nostra cattiva coscienza
nei confronti della
natura.
La percezione per
il linguaggio della
natura, la percezione
della varietà che la
vita generatrice mostra
ovunque, l'impulso
all'interpretazione di
questo multiforme
linguaggio e, ancor piú,
l'impulso a una
risposta, tutto questo è
antico quanto l'uomo. Il
presentimento di una
unità occulta e sacra
dietro la ricca varietà,
di una madre primigenia
che sta dietro tutte le
nascite, di un creatore
che sta dietro tutte le
creature, questo
mirabile impulso
primario dell'uomo verso
l'alba del mondo e il
mistero delle origini è
stato alla radice di
ogni arte, e lo è ancor
oggi, come sempre. Oggi,
appariamo essere
infinitamente lontani
dall'adorazione della
natura in quel senso
tutto religioso che è la
ricerca di una unità
dietro la molteplicità,
non ci abbandoniamo
volentieri a questo
infantile stimolo
primario, ci scherziamo
sopra quando ce lo
rammentano. Ma è
probabilmente un errore
considerare l'intera
odierna nostra umanità
come irriverente,
incapace di avere una
esperienza religiosa
della natura.
È solo che, al
momento, ci è assai
difficile, sí, ci è
divenuto quasi
impossibile, trascrivere
innocentemente la natura
in miti e personificare
infantilmente il
creatore per adorarlo
quale un padre, come
altre epoche poterono
fare. Forse non abbiamo
neanche tutti i torti,
quando a volte troviamo
un po' superficiali e
poco serie le
manifestazioni
dell'antica devozione, e
quando crediamo di
sospettare che la
portentosa e fatale
inclinazione della
fisica moderna verso la
filosofia sia, in fondo,
un processo religioso.
Ora, se possiamo
comportarci come
devotamente umili o
sfacciatamente
superiori, se sorridiamo
o ci stupiamo delle
antiche forme di fede in
una natura animata, il
nostro reale rapporto
con la natura, persino
là dove la conosciamo
solo piú come oggetto di
sfruttamento, è ancora
quello che il bambino ha
con la madre; e non si
sono aggiunti percorsi
nuovi a quei pochi,
antichissimi, che
possono condurre l'uomo
alla beatitudine e alla
saggezza. Uno dei quali,
il piú facile e
infantile, è il cammino
dello stupore per la
natura, dell'ascolto
pieno di trasalimenti
del suo linguaggio.
"Sono qui per
stupirmi!" afferma un
verso di Goethe. Con lo
stupore si inizia e
anche con lo stupore si
termina, e tuttavia non
è un cammino vano. Se
ammiro un muschio, un
cristallo, un fiore, un
coleottero dorato,
oppure un cielo
nuvoloso, un mare con il
pacato respiro da
gigante del moto ondoso,
un'ala di farfalla con
le sue ben ordinate
nervature cristalline,
il taglio e le colorite
decorazioni ai suoi
bordi, la varietà di
caratteri e di ornamenti
del disegno e le
infinite, morbide,
mirabilmente ispirate
gradazioni e
ombreggiature dei colori
– ogni volta che riesco
a vivere in sintonia con
un frammento di natura
grazie all'occhio o a un
altro senso, ogni volta
che sono da essa
attirato e incantato
aprendomi per un attimo
alla sua esistenza e
alla sua rivelazione –
allora dimentico, in
quello stesso istante,
tutto l'avido cieco
mondo delle umane
ristrettezze, e invece
di pensare o di
impartire ordini, invece
di conquistare o di
sfruttare, di combattere
o di organizzare, in
quell'istante non faccio
altro che "stupirmi",
come Goethe; e con
questo stupore non sono
solo divenuto fratello
di Goethe e di tutti gli
altri poeti e saggi; no,
sono anche il fratello
di tutto ciò che ammiro
e sperimento come mondo
vivente; della farfalla,
dello scarabeo, della
nuvola, del fiume e dei
monti: perché lungo il
cammino dello stupore
sfuggo per un attimo al
mondo della divisione ed
entro nel mondo
dell'unità, dove una
cosa, una creatura, dice
a ogni altra: "Tat twam
asi" ("Questo sei tu").
A volte con
malinconia osserviamo
l'innocente rapporto
verso la natura delle
generazioni passate; sí,
con invidia; ma non
vogliamo prendere il
nostro tempo piú
seriamente di quanto
meriti, e non ci
vogliamo neanche
lamentare per il fatto
che nelle nostre scuole
superiori non si insegna
a percorrere le piú
semplici vie alla
saggezza; anzi, per il
fatto che vi si insegni
invece dello stupore
esattamente il
contrario: il contare e
il misurare invece
dell'incantarsi, la
freddezza invece della
meraviglia, il fisso
attaccamento alle
singolarità separate
invece che l'unione col
tutto e con l'Uno.
Queste scuole superiori
non sono scuole della
sapienza, ma scuole del
sapere; ma nel loro
silenzio presuppongono
ciò che non riescono a
insegnare; la sapienza
del vivere, il sapersi
commuovere, il goethiano
stupore, e i loro
migliori spiriti non
conoscono meta piú
nobile che avvicinarsi
sempre piú a quegli
eventi, cosí come Goethe
e altri autentici saggi.
Le farfalle, di
cui si occupa questo
discorso, sono dunque al
pari dei fiori, per
molti, uno dei frammenti
piú amati del creato, un
oggetto particolarmente
apprezzato e valido di
quel famoso stupore,
un'occasione
particolarmente
leggiadra per
l'esperienza, il
presentimento del grande
miracolo, la venerazione
della vita. Al pari dei
fiori, esse sembrano
esser state inventate da
gentili, leggiadri e
arguti geni; immaginate,
con delicata voluttà
creatrice, espressamente
come decorazione, come
ornamento, come
gioielli; come piccole,
scintillanti opere
d'arte e canti di
giubilo.
Bisogna essere
ciechi o estremamente
aridi se alla vista
delle farfalle non si
prova una gioia, un
frammento di
fanciullesco incanto, un
brivido dello stupore
goethiano. E certo ve ne
sono buoni motivi. La
farfalla, infatti, è un
qualcosa di particolare,
non è un animale come
gli altri, in fondo non
è propriamente un
animale ma solamente
l'ultima, piú elevata,
piú festosa e insieme
vitalmente importante
essenza di un animale. È
la forma festosa,
nuziale, insieme
creativa e caduca di
quell'animale che prima
era giacente crisalide
e, ancor prima che
crisalide, affamato
bruco. La farfalla non
vive per cibarsi e
invecchiare, vive
solamente per amare e
concepire, e per questo
è avvolta in un abito
mirabile, con ali che
sono molte volte piú
grandi del suo corpo ed
esprimono, nel taglio
come nei colori, nelle
scaglie e nella peluria,
in un linguaggio
estremamente vario e
raffinato, il mistero
del suo esistere, solo
per vivere piú
intensamente, per
attirare con piú magia e
seduzione l'altro sesso,
per incamminarsi piú
splendente verso la
festa della
procreazione. Tale
significato della
farfalla e della sua
magnificenza è stato
avvertito in tutti i
tempi e da tutti i
popoli, è una
rivelazione semplice ed
evidente. E ancora piú è
divenuta, da festoso
amante e splendente
metamorfo, un emblema
sia dell'effimero come
di ciò che dura in
eterno, e già in tempi
antichi fu per l'uomo
paragone e simbolo
dell'anima.
Si tenga al
contempo presente: la
parola Schmetterling
non è molto antica,
né è divenuta comune a
molti dialetti tedeschi.
Un tempo, questa strana
parola, che esprime nel
contempo un qualcosa di
sommamente vivo ed
energico come anche di
grossolano e inadeguato,
fu conosciuta e usata
solo in Sassonia e forse
in Turingia, penetrando
nella lingua scritta e
divenendo universalmente
accettata solo nel
diciottesimo secolo. La
Germania meridionale e
la Svizzera prima non la
conoscevano, cosí per
farfalla si usava il
nome piú antico e piú
bello: Fifalter,
ma dato che il
linguaggio umano, al
pari del linguaggio
della scrittura sulle
ali delle farfalle, non
è opera di intelletto o
di calcolo, ma
dell'impulso creatore e
poetico del gioco, la
lingua, qui come in
tutte le cose che il
popolo ama, non si è
accontentata di un solo
nome, ma gliene ha dati
di piú, sí, molti di piú.
In Svizzera ancora oggi
la farfalla viene
chiamata di solito
Fifalter, oppure
Vogel (Tagvogel,
Nachtvogel) oppure
Sommervogel.
Se esistono già
tanti nomi per le
farfalle nel loro
complesso (c'è anche
Butterfliege, Molkendieb,
e una sfilza di
altri) ci si immagini
quanti nomi, variabili a
seconda della provincia
e del dialetto, vi sono
per le singole specie di
farfalle — o fra poco
bisognerà dire: vi
erano, poiché al pari
dei nomi indigeni dei
fiori si stanno
lentamente estinguendo,
e se tra i ragazzi non
ci fossero sempre amici
e collezionisti di
farfalle, questi
meravigliosi nomi per la
maggior parte
sparirebbero via via,
come in molti luoghi la
ricchezza di varietà di
farfalle è in larga
parte sparita ed estinta
in seguito
all'industrializzazione
e alla razionalizzazione
dell'agricoltura.
E a favore dei
collezionisti di
farfalle, dei giovani
come degli anziani, si
può dire anche altro. Il
fatto che i
collezionisti uccidano
le farfalle, le
infilzino con gli aghi e
le preparino per poterle
conservare possibilmente
belle e possibilmente
durevoli, viene
indicato, fin dall'epoca
di J.J. Rousseau, spesso
con atteggiamento
pietistico, come una
brutale crudeltà, e
nella letteratura tra il
1750 e il 1850 appare la
comica, pedantesca
figura di quello che può
godersi le farfalle solo
morte e infilzate con
gli spilli. Questo era
già allora in parte
insensato e lo è oggi
quasi del tutto.
Naturalmente ci sono,
tra i giovani come tra
gli adulti, di quei
collezionisti che non
giungono mai al punto di
voler lasciare in pace
le farfalle per
osservarle vive in
libertà. Ma anche i piú
rozzi collezionisti
contribuiscono a che non
ci si scordi delle
farfalle, che qua e là,
in qualche parte, si
conservino i loro
antichi meravigliosi
nomi e a volte
contribuiscono anche a
che ci siano ancora le
amate farfalle. Infatti,
cosí come la passione
per la caccia conduce
ovunque, alla fine, non
soltanto alla caccia, ma
anche all'apprendimento
e all'esercizio della
conservazione, cosí i
cacciatori di farfalle
si sono naturalmente
accorti per primi che
grazie alla scomparsa di
alcune specie di piante
(ad esempio, l'ortica) e
ad altri radicali
interventi
nell'equilibrio
naturale, in certe
regioni la quantità
delle farfalle
diminuisce rapidamente
fino all'estinzione. E
precisamente non nel
senso che ci siano un
po' meno cavolaie, o
altri analoghi nemici di
contadini e giardinieri;
perché, quando in
qualche parte del
paesaggio gli uomini si
impegnano troppo a
organizzare, sono sempre
le specie piú nobili,
rare e belle a
soccombere e ad
estinguersi. Il vero
amico delle farfalle non
solo tratta con
attenzione i bruchi, le
crisalidi e le uova, ma
fa anche quanto
possibile per dare nei
suoi dintorni
possibilità di vivere a
ogni specie di farfalle.
Io stesso pur non
essendo piú, da tanti
anni ormai, un
collezionista, di quando
in quando ho piantato
ortiche.
Ogni fanciullo che
possegga una collezione
di farfalle ha anche
sentito parlare delle
piú grandi, colorate,
meravigliose farfalle
che vivono nei paesi
caldi, in India, in
Brasile, in Madagascar.
Qualcuno di loro le ha
anche potute ammirare
coi suoi occhi, nei
musei o presso qualche
appassionato, perché
oggi queste farfalle
esotiche, preparate su
cotone, sotto vetro, e
spesso assai ben
presentate, si possono
anche comprare, e infine
chi non le ha viste di
persona le conosce
almeno da immagini. So
bene quanto, da giovane,
mi sono augurato di
poter vedere una volta
una particolare farfalla
che, stando ai libri,
volava in Andalusia nel
mese di maggio. E ogni
volta che qua e là, da
amici o nei musei,
riuscivo a vedere
qualcuna di queste
grandi meraviglie dei
tropici, ho sentito in
me risvegliarsi di nuovo
qualcosa dell'ineffabile
incanto della
fanciullezza, qualcosa
di quell'incanto
mozzafiato quale io, ad
esempio, provai vedendo
per la prima volta la
farfalla apollo.
E insieme a questa
meraviglia, che
racchiude anche
malinconia, alla vista
di quelle incantevoli
farfalle mi avvicinavo
anche, nel bel mezzo di
una vita non sempre
poetica, allo stupore
goethiano, vivendo un
attimo di rapimento, di
contemplazione, di
religiosità.
E piú tardi mi
capitò addirittura ciò
che non avrei mai
creduto possibile, che
io cioè dovessi
viaggiare attraverso
grandi mari, scendere
sulle calde spiagge
straniere, percorrere,
penetrando foreste
tropicali, fiumi
popolati di coccodrilli,
e osservare le farfalle
tropicali, vive, nel
loro ambiente.
Lí si realizzarono
molti sogni infantili e,
avverandosi, molti di
essi hanno perduto
sapore. Ma non si
affievolí l'incantesimo
delle farfalle; questa
porticina verso
l'indicibile, questo
soave e facile sentiero
verso lo "stupore"
raramente mi ha
abbandonato.
Fu a Penang che
per la prima volta vidi
in volo, vive, delle
farfalle tropicali, a
Kuala Lumpur per la
prima volta ne catturai
alcune e a Sumatra vissi
un breve periodo, molto
bello, sul Batang Hari,
dove di notte sentivo
rumoreggiare sulla
giungla temporali
selvaggi e di giorno
scorgevo nelle radure
della foresta librarsi
le farfalle sconosciute,
con il loro incredibile
oro e verde, con i loro
colori da pietre
preziose. Nessuna di
esse è restata, quando
la rivedevo preparata
con uno spillo o
sottovetro, cosí
mirabilmente eccitante,
cosí favolosa come lo
era stata in libertà,
tra le ombre e le luci
animate dove ancora
viveva, dove i colori
delle ali prendevano
ancora vita
dall'interno, dove al
colore si aggiungeva il
movimento, quel volo
sovente cosí espressivo,
sovente cosí misterioso,
e dove la meraviglia non
era tanto semplicemente
abbandonata alla mia
curiosità, ma doveva
essere a ogni momento
furtivamente scoperta e
vissuta.
Pure, è
stupefacente come si
possano conservare bene
le farfalle. La maggior
parte degli esseri
colorati, animali o
piante, anche con la
migliore preparazione
perdono, dopo la morte,
il piú della bellezza.
Si osservino una volta,
se non bastasse
l'esempio dei fiori, le
piume di un uccello che
un cacciatore ha appena
ucciso, e si osservi poi
il medesimo uccello una
mezza giornata piú
tardi: c'è sempre, lí
davanti, il blu, il
giallo, il verde o il
rosso, ma su di essi si
è steso un velo
estraneo, manca
qualcosa, splende sempre
ma non è piú raggiante,
qualcosa che non torna
piú si è spento in esso,
è finito. Con le
farfalle, invece, e con
alcuni coleotteri, la
differenza è meno forte,
la fastosità dei loro
colori permane anche con
la morte, meglio che in
qualsiasi altro animale.
Le si può conservare per
molto tempo, anche per
decenni; devono solo
essere protette oltreché
dagli insetti anche
dalla luce, in
particolare da quella
del sole.
Anche i popoli
della Malesia, nei cui
paesi allora viaggiavo,
avevano i loro nomi per
le farfalle, nomi
differenti e tutti
belli. E il nome
generico,
Schmetterling,
conserva ogni volta nel
suono il ricordo vivido
dell'essere alato diviso
in due parti, cosí come
risuona soprattutto nel
termine alto-tedesco
Zwiespalter, in
Fifalter,
nell'italiano
"farfalla", eccetera. Di
solito i malesi
chiamavano le farfalle o
kupu kupu o
lapa lapa — ambedue
i nomi suonavano come un
battito d'ali. Questo
lapa lapa è qualcosa
di egualmente bello e
vivido, qualcosa di
egualmente espressivo e
di inconsciamente
creativo come è l'occhio
sull'ala di una
vanessa bianca,
lettera C tracciata sul
retro dell'ala color
ruggine di una farfalla
indigena.
Chi osservi le
tavole con le immagini
di queste favolose
farfalle, possa essere
sopraffatto qua e là, e
ovunque, dal grande
stupore, che è stadio
preliminare della
conoscenza come della
venerazione.