Quando ebbi la notizia della scomparsa
di Alfio Di Bella provai un grande dolore, difficile a
descriversi.. Forse perché Alfio oltre ad essere un artista
dell’immagine vero e valido era anche un
personaggio indimenticabile.
Lo conobbi alla galleria del Fante
di spade di via Margutta nel 1963 dove avevo trovato
impiego come segretaria un po’ spaesata. Mi si presentò tra
i vari figuranti del gruppo, pittori noti e in
fieri,intellettuali modesti o presuntuosi, come una ventata
di autenticità ,di gioia e di immaginazione. E diventammo
subito amici. Alfio era un fotografo di grande bravura e
professionalità,ironico e sensibile all’arte. Riprendeva
momenti caratteristici delle inaugurazioni,inquadrando tipi
e atteggiamenti e fotografava i quadri con una particolare
sensibilità pittorica e creativa. Era un artista anche
nell’animo e nel pensiero. Amava la vita, la natura,era
passionale seguendo gli sprazzi della sua sicilianità ma
anche lucido nel ragionamento e schietto nel suo amore per
la giustizia. In mezzo agli sproloqui dei critici, alle
rivalità dei pittori , all’ottica commerciale del
patron, la sua naturalezza e il suo
senso dell’humour mi arrivavano come una fonte pura.
Parlavamo di tutto. Ricordo i dialoghi aperti ed allegri ,
la sua capacità di sdrammatizzare, la vecchia vespa su cui
mi diede alle volte un passaggio e che zigzagava per il
Muro Torto e la sua auto che dondolava come una barca,
creando un’atmosfera di magia. Metteva nella guida la stessa
forza vivace e bizzarra con cui scopriva immagini ed
espressioni inconsuete cogliendo fisionomie e riprendendo le
opere dei pittori degli anni 60 e 70. Le sue testimonianze
sull’arte di quegli anni precise e vibranti ,il suo archivio
non possono cadere nell’oblio giacché rappresentano
finemente un’epoca e portano una firma originale.
Come amici ci scambiavamo le nostre
impressioni e inquietudini più intime, perché il nostro era
il feeling dell’amicizia. Anche quando lasciai il Fante di
Spade nel 64 non ci perdemmo di vista. Ognuno andò per la
sua strada, ma non mancavano le occasioni di incontrarsi,
alle mostre, in qualche altra occasione. O ci telefonavamo
per fare il punto. Ormai era iscritto nella mia mente e nel
cuore,un amico. Fu lui a presentare alla galleria per un
posto di lavoro un altro caro amico d’eccezione, Valentino
Zeichen, di cui compresi immediatamente il valore ,oggi ben
noto per il suo eccellente contributo alla Poesia del
novecento. A un certo punto alla fine degli anni 70 nella
vita di Alfio ci fu un terribile shock,la morte del figlio
appena sedicenne Matteo ( che da piccolo aveva giocato col
mio) per una malattia incurabile . Uno schianto spirituale
che sconvolse come un uragano la sua esistenza. Penso che
Alfio abbia riversato il suo dolore insostenibile e la sua
rabbia nella force de frappe più vasta della
contestazione sociale. Fortunatamente ebbe il sostegno umano
attivo e silenzioso di Helen, una compagna ideale, a cui va
tutto il mio affetto. Quando lo ritrovai negli anni 90
accanto a lei, nel suo piccolo e fantastico rifugio di
Toffia, un rudere restaurato con le loro mani e vidi il
pianoforte e mi immersi nell’ intensità dell’ispirazione,
respirai l’atmosfera giusta, quella di vero ossigeno. Lui
mi mostrò delle magnifiche foto della natura ,forme di
fiori e di piante passate attraverso lo schermo della sua
interpretazione,dilatate come mondi, colori vividi e
trasparenti ,significativi. Bisogna che si vedano quelle
foto bellissime. Ho sempre pensato che una grande Mostra
sulla sua attività e personalità sarebbe doverosa per la
cultura romana. La sua opera è da approfondire e studiare
perché oltre ai valori specifici della fotografia vi si
legge l’epoca. Alfio è sempre stato un onesto schivo e non
figurò mai tra i “rampanti” di cui è gremito il mondo dei
saputi e dei mestieranti. Anche per questo, credo, una
grande mostra non è ancora stata fatta. .
Serena D'Arbela