GERUSALEMME - 17 agosto 2006
Mio caro Uri, sono ormai tre giorni che quasi ogni
pensiero comincia con "non". Non verrà, non parleremo, non
rideremo. Non ci sarà più questo ragazzo dallo sguardo
ironico e dallo straordinario senso dell'umorismo. Non ci
sarà il giovane uomo dalla saggezza molto più profonda di
quella dei suoi anni, dal sorriso caloroso, dall'appetito
sano. Non ci sarà quella rara combinazione di determinazione
e delicatezza. Non ci saranno il suo buon senso e
l'assennatezza del suo cuore.
Non ci sarà l'infinita tenerezza di Uri e la tranquillità
con cui placava ogni tempesta, non vedremo insieme i
Simpsons o Seinfeld, non ascolteremo con te Johnny Cash e
non sentiremo il tuo abbraccio forte e rassicurante. Non ti
vedremo camminare e parlare con Yonatan (il fratello
maggiore ndr) gesticolando con foga, abbracciare Ruti , a
cui volevi tanto bene.
Uri, amore mio, per tutta la tua breve vita abbiamo imparato
da te. Dalla tua forza e dalla determinazione di seguire la
tua strada, anche quando non avevi possibilità di riuscita.
Abbiamo seguito stupefatti la tua lotta per essere ammesso
al corso di comandanti di tank. Non ti sei arreso ai tuoi
superiori, sapevi di poter essere un buon comandante e non
eri disposto a dare meno di quanto potevi. E quando l'hai
spuntata, ho pensato, ecco un ragazzo che conosce
semplicemente e lucidamente le sue possibilità. Senza
pretese, senza arroganza. Che non si lascia influenzare da
quello che gli altri dicono di lui. Che trova la forza
dentro di sé.
Sei stato così fin da piccolo. Vivevi in armonia con te
stesso e con chi ti stava intorno. Sapevi qual era il tuo
posto, eri consapevole di essere amato, conoscevi i tuoi
limiti e le tue virtù. E davvero, dopo aver piegato l'intero
esercito, ed essere stato nominato comandante, era chiaro
che tipo di comandante e uomo eri. E oggi i tuoi amici e i
tuoi subordinati raccontano del comandante e dell'amico, di
quello che si alzava per primo per organizzare tutto e che
si coricava solo dopo che gli altri già dormivano.
E ieri, a mezzanotte, ho guardato la casa, che era piuttosto
in disordine dopo che centinaia di persone sono venute a
farci visita, a consolarci, e ho detto, eh sì, adesso ci
vorrebbe Uri per aiutare a sistemare.
Eri il "sinistroide" del tuo battaglione, ma eri rispettato,
perché mantenevi le tue posizioni senza rinunciare ai tuoi
doveri militari. Ricordo che mi hai raccontato della tua
"politica dei posti di blocco", perché anche tu sei stato
non poco ai posti di blocco. Dicevi che se c'era un bambino
nell'auto che avevi fermato, innanzi tutto cercavi di
tranquillizzarlo e di farlo ridere. E ricordavi a te stesso
che quel bambino aveva più o meno l'età di Ruti e quanta
paura aveva di te e quanto ti odiava, e a ragione. Eppure
facevi di tutto per rendergli più facili quei momenti
tremendi, compiendo al tempo stesso il tuo dovere, senza
compromessi.
Quando sei partito per il Libano la mamma ha detto che la
cosa che temeva di più era la tua "sindrome di Elifelet".
Avevamo molta paura che, come l'Elifelet della canzone,
anche tu saresti corso dritto in mezzo al fuoco per salvare
un ferito, che saresti stato il primo a offrirti volontario
per portare il rifornimento-di-munizioni-esaurite-da-tempo.
E lassù, in Libano, in quella dura guerra, ti saresti
comportato come hai fatto per tutta la vita, a casa, a
scuola e durante il servizio militare, offrendoti di
rinunciare a una licenza perché un altro soldato aveva più
bisogno di te, o perché a casa di quell'altro c'era una
situazione più difficile.
Eri per me figlio e amico. Ed era lo stesso per la mamma. La
nostra anima è legata alla tua. Vivevi in pace con te
stesso, eri una persona con cui è bello stare. Non sono
nemmeno capace di dire ad alta voce quanto tu fossi per me
qualcuno con cui correre. Ogni qualvolta arrivavi in licenza
dicevi: vieni papà, parliamo. Di solito andavamo a un
ristorante, a sedere e a parlare. Mi raccontavi così tanto,
Uri, ed ero orgoglioso di avere l'onore di essere il tuo
confidente, che uno come te avesse scelto me.
Ricordo quanto fossi indeciso una volta se punire un soldato
in seguito a un'infrazione disciplinare. Quanto per te
quella decisione fosse sofferta perché avrebbe scatenato la
rabbia dei tuoi sottoposti e degli altri comandanti, molto
più indulgenti di te riguardo a certe infrazioni. E infatti,
punire quel soldato ti è costato molto da un punto di vista
dei rapporti umani ma proprio quell'episodio si è
trasformato in una delle storie cardinali dell'intero
battaglione, che ha stabilito certe norme di comportamento e
di rispetto delle regole. E nella tua ultima licenza mi hai
raccontato, con timido orgoglio, che il comandante del
battaglione, durante una conversazione con alcuni nuovi
ufficiali, ha portato la tua decisione come esempio di un
giusto comportamento del comandante.
Hai illuminato la nostra vita, Uri. Io e la mamma ti abbiamo
cresciuto con amore. Era così facile volerti bene, con tutto
il cuore, e so che anche tu sei stato bene. Che la tua breve
vita è stata bella. Spero di essere stato un padre degno di
un figlio come te. Ma so che essere il figlio di Michal (la
moglie di David Grossman ndr) vuol dire crescere con
generosità, grazia e amore infiniti, e tu hai ricevuto tutto
questo. Lo hai ricevuto in abbondanza, e hai saputo
apprezzarlo, hai saputo ringraziare, e niente di quello che
hai ricevuto era scontato per te.
In questo momento non dico nulla della guerra in cui sei
rimasto ucciso. Noi, la nostra famiglia, l'abbiamo già
persa. Israele ora si farà un esame di coscienza, noi ci
chiuderemo nel nostro dolore, attorniati dai nostri buoni
amici, circondati dall'amore immenso di tanta gente, che per
la maggior parte non conosciamo, e che io ringrazio per
l'illimitato sostegno.
Vorrei che sapessimo dare gli uni agli altri questo amore e
questa solidarietà anche in altri momenti. È forse questa la
nostra risorsa nazionale più particolare. Vorrei che
potessimo essere più sensibili gli uni nei confronti degli
altri. Che potessimo salvare noi stessi ora, proprio
all'ultimo momento, perché ci attendono tempi durissimi.
Vorrei dire ancora qualche parola.
Uri era un ragazzo molto israeliano. Anche il suo nome è
molto israeliano, ebreo. Uri era il compendio dell'israelianità
come io la vorrei vedere. Un'israelianità ormai quasi
dimenticata. Spesso considerata alla stregua di una
curiosità. Talvolta, guardandolo, pensavo che fosse un
ragazzo un po' anacronistico. Lui e Yonatan e Ruti. Bambini
degli anni cinquanta. Uri, con la sua totale onestà e il suo
assumersi la responsabilità per tutto quello che gli
succedeva intorno. Uri sempre in "prima fila", su cui poter
contare. Uri con la sua profonda sensibilità verso ogni
sofferenza, ogni torto. E capace di compassione. Una parola
che mi faceva pensare a lui ogni qualvolta mi veniva in
mente.
Era un ragazzo con dei valori, parola molto logorata e
schernita negli ultimi anni. Nel nostro mondo a pezzi e
crudele e cinico non è "tosto" avere dei valori. O essere
umani. O sensibili al malessere del prossimo, anche se quel
prossimo è il tuo nemico sul campo di battaglia.
Ma io ho imparato da Uri che si può e si deve essere sia
l'uno che l'altro. Che dobbiamo difendere noi stessi e la
nostra anima. Insistere a preservarla dalla tentazione della
forza e da pensieri semplicistici, dalla deturpazione del
cinismo, dalla volgarità del cuore e dal disprezzo degli
altri, che sono la vera, grande maledizione di chi vive in
una area di tragedia come la nostra.
Uri aveva semplicemente il coraggio di essere se stesso,
sempre, in ogni situazione, di trovare la sua voce precisa
in tutto ciò che diceva e faceva, ed era questo a
proteggerlo dalla contaminazione, dalla deturpazione e dal
degrado dell'anima.
Uri era anche un ragazzo buffo, incredibilmente divertente e
sagace ed è impossibile parlare di lui senza riportare
alcune sue "trovate". Per esempio, quando aveva tredici
anni, gli dissi: immagina che tu e i tuoi figli un giorno
potrete recarvi nello spazio come oggi si va in Europa. E
lui rispose sorridendo: "Lo spazio non mi attira molto, si
può trovare tutto sulla terra".
O un'altra volta, mentre viaggiavamo in automobile, io e
Michal parlavamo di un nuovo libro che aveva suscitato molto
interesse e nominavamo scrittori e critici. Uri, che allora
aveva nove anni, ci richiamò dal sedile posteriore: "Ehi,
voi, elitisti, vi prego di notare che qui dietro c'è un
piccolo sempliciotto che non capisce niente di quello che
dite!".
O per esempio Uri, a cui piacevano molto i fichi, con un
fico secco in mano: "Dì un po', i fichi secchi sono quelli
che hanno commesso peccato nella loro vita precedente?". O
ancora, una volta che ero indeciso se accettare un invito in
Giappone: "Come puoi non andare? Sai cosa vuol dire essere
nell'unico Paese in cui non ci sono turisti giapponesi?"
Cari amici, nella notte tra sabato e domenica, alle tre meno
venti, hanno suonato alla nostra porta. Al citofono hanno
detto di essere "gli ufficiali civici". Sono andato ad
aprire e ho pensato, ecco, la vita è finita.
Ma cinque ore dopo, quando io e Michal siamo entrati nella
camera di Ruti e l'abbiamo svegliata per darle la terribile
notizia, Ruti, dopo il primo pianto, ha detto: "Ma noi
vivremo, vero? Vivremo come prima. Io voglio continuare a
cantare nel coro, a ridere come sempre, a imparare a suonare
la chitarra." Noi l'abbiamo abbracciata e le abbiamo detto
che vivremo. E Ruti ha anche detto: che terzetto stupendo
eravamo, Yonatan, Uri e io.
E siete davvero stupendi. E anche le coppie all'interno del
terzetto. Yonatan, tu e Uri non eravate solo fratelli ma
amici, nel cuore e nell'anima. Avevate un mondo vostro e un
vostro linguaggio privato e un vostro senso dell'umorismo.
Ruti, Uri ti voleva un bene dell'anima. Con quanta tenerezza
si rivolgeva a te. Ricordo la sua ultima telefonata, dopo
aver espresso la sua felicità per la proclamazione all'Onu
del cessate il fuoco, ha insistito per parlare con te. E tu
hai pianto, dopo. Come se già sapessi.
La nostra vita non è finita. Abbiamo solo subito un colpo
durissimo. Troveremo la forza per sopportarlo dentro di noi,
nel nostro stare insieme, io, Michal e i nostri figli e
anche il nonno e le nonne, che amavano Uri con tutto il
cuore - "Neshuma", lo chiamavano, perché era tutto Neshamà,
anima - e gli zii e i cugini e tutti i numerosi amici della
scuola e dell'esercito che ci seguono con apprensione e
affetto.
E troveremo la forza anche in Uri. Aveva forze che ci
basteranno per tantissimi anni. La luce che proiettava - di
vita, di vigore, di innocenza e di amore - era tanto intensa
che continuerà a illuminarci anche dopo che l'astro che la
produceva si è spento.
Amore nostro, abbiamo avuto il grande privilegio di stare
con te. Grazie per ogni momento che sei stato con noi.
Papà, mamma, Yonatan e Ruti.
David
Grossman