Lettera di Bud Welch sulla pena di morte

 

16 giugno, 1999

Mia figlia Julie Marie era la luce della mia vita. Era così luminosa, così buona, e così premurosa. Era la mia amica e confidente. Dopo la laurea, Julie ha lavorato come interprete di spagnolo per l'Amministrazione della Previdenza Sociale in Oklahoma City. Ogni mercoledì ci incontravamo per pranzo a un ristorante greco lungo la strada del Murrah Federal Building. Il nostro appuntamento per il pranzo del mercoledì 19 aprile 1995 non avrebbe mai dovuto esserci.

Quando Julie è stata uccisa quella mattina con 167 altri nell'esplosione del Murrah Building, la pena che ho sentito è stata insopportabile. Ero pieno di rabbia. avrei voluto che Timothy McVeigh fosse ucciso. Avrei potuto farlo con le mie stesse mani.

Io lo chiamo il “periodo dell'alienazione mentale”. Ho passato cinque settimane di follia. Ora so perché la gente accusata di crimini orribili viene scortata dalla macchina al Palazzo di Giustizia con indosso il giubbotto antiproiettile. Perché i parenti delle vittime sono talmente impazziti di rabbia che si farebbero giustizia da soli. Io ero sempre stato contrario alla pena di morte ma, durante le prime cinque settimane dopo l'attentato, avrei voluto Timothy McVeigh e Terry Nichols giustiziati. Ripeto, avrei potuto farlo con le mie stesse mani.

Mi ci sono voluti nove mesi per giungere a non volere la pena capitale per loro. Un giorno, sono tornato nel posto dell'attentato, mi sono seduto sotto un vecchio olmo vicino a dove Julie parcheggiava la sua macchina. Ho domandato a me stesso: “Mi sentirò meglio il giorno che Tim McVeigh e Terry Nichols saranno processati, condannati e giustiziati?” Mi sono reso conto allora che non ne avrei avuto alcun beneficio. Ho ricordato quella volta quando Julie ed io tornavamo in macchina da Milwaukee durante il suo primo anno di collegio. Attraversavamo lo stato dell'Iowa e ascoltavamo un notiziario. Raccontavano di un'altra esecuzione in Texas. Julie disse: “Papà, mi fa stare male quello che fanno in Texas. Tutto ciò che fanno è insegnare l'odio ai loro figli”. Non ci ho più pensato, ma dopo che Julie è stata uccisa, questa frase mi è riecheggiata nella mia mente tutti i giorni. Julie era così fortemente contraria alla pena di morte. Le sue convinzioni l'hanno portata ad iscriversi ad Amnesty International a 16 anni. Finalmente ho compreso che la pena di morte non era altro che vendetta ed odio, e la vendetta e l'odio sono esattamente le cause della morte di Julie e degli altri 167.

Sento solo pietà per il padre di Tim McVeigh, Bill. L'ho visto in televisione e ho percepito la pena profonda sul suo volto. Volevo dirgli che ero sinceramente preoccupato per il suo stato d'animo. Sono andato a trovarlo lo scorso settembre, e abbiamo parlato per due ore. Gli ho detto che avrei fatto di tutto per non vedere Tim giustiziato. Nei crimini per i quali decretiamo la pena di morte, non pensiamo mai ai parenti dei condannati. Ma sono vittime anche loro.

È sbagliato per il governo uccidere, non importa l'atrocità del crimine. Una persona commette violenza, ed allora il nostro governo risponde con la violenza. In qualche modo crediamo – uccidendo – di poter insegnare ai nostri figli a non uccidere. Questo è sbagliato e questo è il motivo per cui sostengo il lavoro di Amnesty International per abolire la pena di morte. Grazie.

 

 

 

Foto di una lettera di Virginia

 

Lettera di Virginia Woolf a Gerald Brenan - Monk’House Rodmell

«La bellezza, la si consegue solo mediante il tentativo infruttuoso di raggiungerla: sfregando tutte le selci assieme, affrontando ciò che dev'essere motivo d'umiliazione - le cose che non si possono fare. Aspirare alla bellezza deliberatamente senza questa lotta apparentemente insensata, ne risulterebbe, penso, in piccole margherite e non-ti-scordar-di-me - in sdolcinature - in veri nodi d'amore. Ma sono d'accordo che si deve (noi, nella nostra generazione, dobbiamo) rinunciare alla fin fine a conseguire la bellezza maggiore: la bellezza che nasce dalla completezza di libri come Guerra e pace,in Stendhal, immagino; in parte delle opere di Jane Austen, e in Sterne; e credo anche in Proust di cui ho letto solo un volume. Ma ora che ho scritto tutto questo, dubito che sia vero. Non continuiamo a sperare? E anche se ogni volta facciamo fiasco, indubbiamente il nostro insuccesso è meno completo di quel che sarebbe stato se all'inizio non fossimo stati pronti ad attaccare il tutto. Si deve rinunciare quando il libro è finito, ma non prima di cominciarlo Mi chiedevo tra me e me perché, anche se qualche volta cerco di limitarmi a quello che faccio bene, sono continuamente attratta, penso dagli esseri umani, fuori dal piccolo cerchio sicuro, sempre più oltre, fino ai vortici, dove sprofondo.»

Virginia Woolf 

 

 

   

 

 

 

 

Osserva il gregge che pascola davanti a te:
non sa che cosa sia ieri, che cosa sia oggi; salta intorno, mangia, digerisce, salta di nuovo, e così dal mattino alla sera e giorno dopo giorno, legato brevemente con il suo piacere e con il suo dispiacere, attaccato cioè al piolo dell'attimo e perciò né triste né annoiato... L'uomo chiese una volta all'animale: Perché mi guardi soltanto senza parlarmi della tua felicità? L'animale voleva rispondere e dire: ciò avviene perché dimentico subito quello che volevo dire – ma dimenticò subito anche questa risposta e tacque. Così l'uomo se ne meravigliò. Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre attaccato al passato: per quanto egli vada e per quanto velocemente, la catena lo accompagna. È un prodigio: l'attimo, in un lampo, è presente, in un lampo è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo. Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via – e improvvisamente rivola indietro, in grembo all'uomo.
Allora l'uomo dice "Mi ricordo".

 

  di Friedrich Wilhelm Nietzsche

 

 
       

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