Diari
Sylvia Plath |
"Ho paura di affrontare me stessa.
Stanotte ho tentato di farlo. Mi auguro di cuore che ci sia
qualche essere assoluto, qualcuno su cui contare affinché mi
valuti e mi dica la verità."
Nel diario di una poetessa, di una scrittrice, di una donna
giovane e bella che a soli trent'anni decide di suicidarsi
cerchiamo, quasi con una certa morbosità, il perché di
quella tragedia. Perché? Perché la disperazione che porta
alla morte? Perché il nulla in una vita così piena, così
ricca, con due bambini piccoli da crescere, una vita di
relazioni apparentemente normale, un successo professionale
ormai vicino? Eppure, leggendo una dopo l'altra le pagine di
questo Diario, che vede l'autrice prima ragazzina, poi
sempre più adulta, moglie e madre, la risposta appare
evidente, ed è già compresa nella domanda iniziale che
Sylvia si pone: "Se soltanto sapessi cosa chiedere alla
vita".
Una cupa angoscia, l'impossibilità a trovare una identità,
la sofferenza profonda e una difficoltà quasi fisica ad
instaurare rapporti autentici: un male di vivere insomma che
appare già evidente fin dalle prime pagine.
"Voglio amare qualcuno perché voglio essere amata": ed è
proprio la paura di essere scoperta in questa incapacità
all'amore che le crea devastanti paure, depressioni,
sconfinamenti quasi nella pazzia.
"Resta il terrore di non avere genitori, né persone grandi e
mature, pronte a consigliarmi e amarmi a questo mondo": ma
ancora di più la paura della solitudine, una così profonda
sensazione di perdita, di lutto che semplificatoriamente si
potrebbe collegare (lei stessa compie a un tratto questa
operazione) all'abbandono del padre. E così l'odio/amore per
la madre, la paura di quella simbiosi che cerca, e che le
toglie ogni possibilità di autonomia, (simbiosi che
riprodurrà nel rapporto col marito), il "desiderio di essere
manipolata" per non affrontare la disperazione che la
domina, sono tutte chiavi di lettura della sua esistenza.
Frequente è nel Diario l'accenno al suo essere donna, bella,
desiderata, e al rifiuto per quella sensualità che vede
trasparire dal suo corpo che pure vuole perfetto, più per
gusto estetico che per volontà di seduzione. La passione, il
desiderio che pure sono componenti importanti di sé, la
sgomentano e l'attraggono nello stesso tempo, in fondo
permane sempre un invidia nei confronti del maschio e una
difficile accettazione della sua identità femminile. Eppure,
fin da giovanissima, la sofferenza amorosa era stata per lei
una costante: sicurezza di esistere, di sentire, di perdersi
in un altro per ritrovarsi. Un episodio adolescenziale, una
violenza a cui era sfuggita e che non aveva potuto
raccontare alla madre, troppo distratta in quel momento per
prestare attenzione all'aspetto sconvolto della figlia, era
rimasto impresso in lei come simbolo di un furto, di un
imbroglio giocato alla sua ingenuità.
Il rapporto col lavoro, il lavoro manuale (piantare fragole
nei campi o servire in un bar) aveva avuto nella sua prima
giovinezza un ruolo positivo. La stanchezza porta ad una
forma di positivo abbandono, di dimenticanza necessaria, di
semplicità interiore: tutto ciò non avviene invece quando il
lavoro è quello letterario, quello della creazione
artistica.
Il rapporto con la scrittura, la sensazione di avere grandi
cose da scrivere, l'incapacità di tradurle nella pagina
scritta, perché "fa male non essere perfetti", la ricerca di
modalità di comunicazione letteraria che le permettano di
essere accolta e pubblicata, la conduce alla costruzione di
maschere, sia nella scrittura che nella vita, maschere di
cui non si sa liberare nemmeno con l'elettroshock e che
finiranno col soffocarla. Ted Hughes, nella prefazione,
dichiara che solo pochi versi detti da lei in un momento di
abbandono, poco prima del suicidio, gli avevano rivelato la
verità di quella donna a cui era stato perennemente vicino
per sei anni: ben forti quindi dovevano essere le maschere
che coprivano il suo essere.
Quando, cadute le immagini di sé che aveva dolorosamente
offerto al mondo, le resta solo la verità di una vita
inappagata, di un bisogno di amore insoddisfatto, di una
identità irrisolta e perennemente lacerata, l'unica via
d'uscita resta la morte.
Diari di Sylvia Plath, a cura di Frances McCullough e Ted
Hughes Prefazione di Ted Hughes
Titolo originale: The Journals of Sylvia Plath
Traduzione di Simona Fefè
Pag. 433 - Edizioni Adelphi (Biblioteca Adelphi,
n.367)
ISBN 88-459-1416-X
DIARI
L'estate prima di entrare allo Smith
College, Sylvia Plath lavorò in un'azienda agricola del
Massachusetts, Lookout Farm.
Lookout Farm
Luglio 1950. Forse non sarò mai felice, ma stasera sono
contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di
stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a
piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo
zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna. Ora
capisco come la gente possa vivere senza leggere, senza
studiare. Quando uno è così stanco, alla fine della giornata ha
bisogno di dormire e il mattino dopo, all'alba, lo aspettano
altre fragole da piantare, e così si va avanti a vivere, vicino
alla terra. In momenti come questi sarei una stupida a chiedere
di più...
Stamattina, nel campo di fragole, Ilo mi ha chiesto: "Ti
piacciono i pittori del Rinascimento? Raffaello, Michelangelo?
Una volta ho copiato qualcosa di Michelangelo. E che ne pensi di
Picasso?... Di quei pittori che fanno un cerchio e un
rettangolino che scende al posto di una gamba?". Stavamo
lavorando fianco a fianco tra i filari e lui, che era stato
zitto per un po', di colpo si era tirato su e ha cominciato a
chiacchierare con quel suo fortissimo accento tedesco, la faccia
abbronzata, intelligente, increspata in un sorriso. Anche il suo
corpo robusto e muscoloso era abbronzato e i capelli erano
raccolti in un fazzoletto bianco intorno alla testa. Mi ha
detto: "Ti piace Frank Sinatra? Così sendimendale, romandico,
chiardiluna, ja?".
Un'improvvisa lama di luce bluastra sul pavimento di una stanza
vuota. E mi sono resa conto che non era un lampione ma la luna.
Che cosa c'è di più bello, in una notte come questa, che essere
vergine, pura, sana e giovane?... (Essere violentata).
Serata tremenda. È stato tutto l'insieme. La commedia Good-bye
My Fancy, io che, un po' puerilmente, volevo fare la
corrispondente di guerra come la protagonista ed essere amata da
un uomo che mi ammirasse e capisse quanto io capivo me stessa. E
poi Jack, che si sforzava di essere gentile e si è offeso quando
gli ho detto che voleva solo provarci. Poi ancora la cena al
circolo, col solito sfoggio di quattrini. E infine il disco...
quello così perfetto per ballare. Me lo ero dimenticato finché
Louis Armstrong non ha cominciato a cantare con la sua voce resa
roca dal rimpianto ["I Can't Get Started"]... Jack ha detto:
"L'hai mai sentita?", così ho sorriso. "Sì, certo". L'avevo
sentita (con) Bob [un altro corteggiatore]. È bastato questo...
un disco assurdo, le nostre interminabili chiacchiere, lui che
mi ascoltava, mi capiva. E mi sono resa conto di volergli bene.
Oggi è il primo di agosto. Si soffoca, è umido, piove. Sono
tentata di scrivere una poesia. Ma mi viene in mente la frase
che ho letto su uno di quegli stampati con cui respingono i
manoscritti: Dopo ogni acquazzone, da tutto il paese piovono
poesie intitolate "Pioggia".
Per me il presente è l'eternità e l'eternità è sempre in
movimento, scorre, si dissolve. Questo attimo è vita. E quando
passa, muore. Ma non si può ricominciare a ogni nuovo attimo, ci
si deve basare su quelli già morti. È un po' come le sabbie
mobili... senza scampo fin dall'inizio. Un racconto, un quadro
possono far rivivere un poco la sensazione, ma mai abbastanza,
mai abbastanza. Niente è reale, eccetto il presente, e io mi
sento già soffocare sotto il peso dei secoli. Un centinaio di
anni fa una ragazza ha vissuto come vivo io. Poi è morta. Io
sono il presente, ma so che anch'io me ne andrò. L'istante
sublime, la fiamma che consuma arriva e subito scompare: sabbie
mobili, sempre. E io non voglio morire.
Certe cose sono difficili da descrivere. Quando ti succede
qualcosa e vuoi annotarlo, o lo rendi troppo drammatico o lo
alleggerisci troppo, esagerando i particolari sbagliati e
tralasciando quelli importanti. E comunque non lo scrivi quasi
mai come vorresti. Io voglio semplicemente mettere sulla carta
quello che mi è capitato oggi pomeriggio. Non posso raccontarlo
alla mamma, per lo meno non ancora. Era in camera mia
indaffarata con dei vestiti quando sono tornata a casa, e non si
è nemmeno accorta che mi era successo qualcosa. Ha continuato a
sgridarmi e a parlare senza posa. Così non sono riuscita a farla
smettere per dirglielo. Comunque venga, devo scriverlo.
Alla fattoria era piovuto tutto il pomeriggio e io ero
infreddolita e bagnata, in testa avevo il foulard di seta
stampata e sopra la felpa mi ero infilata la giacca a vento
rossa. Avevo lavorato sodo tutto il pomeriggio nel campo di
fagioli e ne avevo raccolti tre sacchi. Dato che erano le
cinque, tutti stavano andandosene e io aspettavo vicino alle
macchine che mi portassero a casa. In quel momento è arrivata
Kathy e senza scendere dalla bicicletta ha gridato: "Guarda, c'è
Ilo".
Ho alzato gli occhi e infatti eccolo lì, con la sua vecchia
camicia cachi e il solito fazzoletto bianco annodato intorno
alla testa. Da quando abbiamo lavorato insieme nel campo di
fragole ogni tanto ci scambiamo qualche parola. Mi aveva dato
uno schizzo a penna della fattoria, particolareggiato e
disegnato con mano sicura. Adesso stava lavorando al ritratto di
uno dei ragazzi.
Così gli ho chiesto: "Hai finito il ritratto di John?". "Oh, ja,
ja". Mi ha sorriso: "Vieni a vederlo. Adesso o mai più".
Mi aveva promesso di mostrarmelo una volta finito, così sono
corsa fuori e mi sono incamminata con lui verso il capannone. È
lì che abita.
© 1998, Adelphi Edizioni
Sylvia Plath, nata a Boston nel 1932, è
morta suicida a Londra nel 1963. Questo volume raccoglie parte
dei diari che la Plath scrisse fra il 1960 e il 1962 e che
furono pubblicati per la prima volta nel 1982.
Per questa pagina grazie al sito che si occupa della
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