Essere nati senza invidia è indizio di essere nati con grandi
qualità.
L’invidia è la consapevolezza della propria mediocrità.
Ritorniamo ogni tanto all’interno di quel pianeta oscuro nel quale
tutti non di rado sconfiniamo: intendo riferirmi al mondo dei vizi.
Oggi ne prendiamo di mira uno tra i più laceranti anche per chi ne è
vittima, l’invidia, e lo facciamo con due battute che hanno genesi
diverse, anche se entrambe provengono da pensatori. La prima è di un
autore moralista del Seicento francese che spesso ci ha offerto
spunti di riflessione, François de la Rochefoucauld. In questa, che
è una delle sue Massime, egli ci invita a cercare un esempio da
imitare: se vuoi essere sicuro di assegnare una meritata
ammirazione, cerca una persona che non conosca l’invidia. È vero:
chi non ha questo vizio si rivela veramente una persona alta, nobile
e generosa.
Detto questo, la nostra attenzione punta, però, sulla normale
esperienza e qui è significativo l’altro monito che ci ha lasciato
il filosofo triestino Mario Hrvat (1910-1948). Basta poco perché il
mediocre riveli la sua natura: anche di fronte a un modesto successo
dell’altro, subito si scatena in lui la recriminazione e la gelosia.
Ebbene, senza che egli lo affermi esternamente, quella reazione
nasce nel suo animo perché sa di essere limitato, di non avere le
capacità altrui; ma, anziché rimanere quietamente nel suo stato,
riconoscendo con umiltà le sue reali forze, si abbandona alla
detestazione e allo scontento. Ironicamente il grande Goethe notava
che «la consolazione più alta del mediocre è di pensare che anche il
genio dovrà morire». Cerchiamo, allora, di riconoscere pure la
nostra mediocrità quando invidiamo, ma trasformiamo questa scoperta
della nostra povertà rendendola fonte di umiltà.Gianfranco
Ravasi
da l’Avvenire