…mi guarda con complicità, anche la più piccola sensazione si dilata per il semplice fatto di stare in mezzo agli altri come se fossimo solo conoscenti, come se lui fosse soltanto uno tra i tanti amici di Victoria e ci guardiamo attraverso i vestiti, infinita la nostra intimità mentre recitiamo, e giocosa, perché è tutta nostra, mi passa una frittella e la sua mano mi sfiora delicatamente e la mia pelle risponde, il Gringo sa come risponde la mia pelle, il mio amante, che cambia impercettibilmente timbro di voce quando dice Blanca e solo io me ne accorgo, solo io so cosa vuol dire quando dice Blanca. E mi piace stare così con lui, circondati da tante persone, non voglio la solitudine immacolata del letto sul pavimento, voglio una solitudine a due capace di condividere scampoli di vita degli altri, di mettersi alla prova con la parte di lui che non mi è familiare, con l’io che esiste oltre il suo petto, voglio amarlo anche quando parla con gli altri, non voglio illudermi col solo richiamo delle quattro pareti di quell’appartamento in centro, può essere così soggettivo il richiamo degli amanti, io ho bisogno di provare l’esistenza del Gringo, basarlo su qualcosa che vada al di là delle mie fantasie, confermare la sua esistenza oltre la mia immaginazione, accertarmi della realtà di questo essere che non è solo mio. Ho bisogno, insomma, di constatarlo al di fuori di me, nel tono con cui si rivolge a Victoria, nel suo affetto per la signora Yolanda, nel modo in cui solleva in aria Bernardo fino a fargli sfiorare il soffitto, nella smania con cui dice a Lorena di non lasciarsi andare, nella durezza con cui a volte litiga. Voglio amarlo nella sua dimensione reale e la assaporo come un privilegio. Gli amanti convenzionali, rinchiusi nella loro urgenza, non sono abituati a farlo – o forse non possono…

da “Il Tempo di Blanca” (Marcela  Serano)

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