Sono caduto tante volte e
tante volte mi sono rialzato. Ogni volta mi sembra più dura e ho la
sensazione che il dolore, con le sue possenti mareggiate, abbia
invaso nuovi spazi intimi, sabbie ancora indenni, fino a violare
ogni più elementare certezza precedente, ogni piccola baia felice.
Il puro dolore non ha scialuppe di salvataggio, né pudore, ricorda
solo se stesso, è senza tregua e senza pietà. Poi passa. Si ritira
come l’alta marea, lasciando ossi di seppia, detriti, vuote
bottiglie di vino, lacrime incapsulate nell’ambra, conchiglie
scolorite, esperienze in cocci. È il museo del dolore. Privato e
pubblico, ma sempre mitico, come la Biblioteca di Alessandria.
Si è tentati di fuggire da questa terra desolata, di tuffarsi nel
flusso felice al primo chiarore, nella bonaccia. Non è prudente né
saggio. Bisogna restare da soli un altro poco, catalogare i reperti
da bravi archeologi di se stessi, perché ogni lacrima ha un senso,
ogni fallimento lascia una traccia indelebile, e le sconfitte devono
essere archiviate con diligenza, mentre le vittorie lo fanno da
sole. Le vittorie sono frivole. Vincere è facile.
Fallire in assoluto è difficile. Io ci sono riuscito benissimo,
anche parecchie volte di seguito. Il fallimento è come la musica,
bisogna esserci portati, avere orecchio, saperlo ascoltare. Il
dolore ha un ritmo mentre la felicità è sorda. La sua è una marcetta
trionfale, starle dietro non richiede alcuno sforzo, perché il
successo trascina, il fallimento emargina e ci lascia da soli.
Mentre cadiamo sentiamo risate e motteggi sinistri, poi il rullo
delle ruote dei carri dei vincitori, infine più nulla. Allora il
dolore viene. Dapprima è un sussurro di malinconia, uno stridìo come
i primi accordi di un’orchestra, poi una sinfonia d’archi e tamburi,
di vuoti e pieni, elaborata, sapiente, incredibile, perché il dolore
è sempre sorprendente: il dolore è un genio.
-Stai dicendo che dovremmo cercare il dolore?- domandò il tale. Non
ce n’è bisogno, il dolore è abilissimo a cercarci da solo, e ci
trova sempre, nei momenti più inopportuni e quando siamo impreparati
a riceverlo. Il dolore fa come le tempeste che offendono i
metereologi che non le hanno previste. Il dolore è maleducato. Ma
noi dobbiamo essere così cortesi da riceverlo.
-Io mi barrico in casa!- disse l’altro. Inutile. Il dolore sfascia
le porte. Tanto vale preservare la facciata e comportarsi da
signori. Altrettanto inutile farlo accomodare e offrirgli un
bicchierino. Si prenderebbe tutta la cantina. Il dolore fa come gli
pare.
-E allora?- Allora niente, sto semplicemente tessendo un elogio del
fallimento, (un po’ costretto, ne convengo) ma se non parlassi di
quel che ho imparato, che scriverei a fare? Davvero non c’è
fallimento dal quale non si possa trarre una lezione, mentre la
felicità non ci insegna mai niente che già non sapessimo, tanto per
cominciare che è facilissimo perderla, altrimenti come potremmo
essere felici un solo istante? La felicità, l’ho già detto, è sorda.
Il dolore risuona nella Storia.
Di conseguenza dico grazie al mio fallimento di uomo e di artista.
Non avrei mai saputo augurarmi di meglio. Il dolore ne sa una più
del diavolo, mi sono laureato alla sua scuola. Attualmente sto
seguendo un master di specializzazione. A breve sarò un
professionista del fallimento. Potrò finalmente elargire felicità.
Da questi miei rami secchi nascerà un fiore.
Mia isola maledetta io ti benedico. Ho imparato a nuotare grazie
alle tue bacche velenose. Mi hanno nutrito e irrobustito e adesso
posso tuffarmi e prendere il largo. Nessun mare sarà così nero e
ostile da spaventarmi più.
Dagli abissi è emersa la mia fortuna, è stata la mia sfortuna a
tenermi a galla. Nel più gelido degli oceani il mio cuore si è
riscaldato. Non ho una casa né una meta. Sono compiutamente
straniero.
È in questo mondo, disadorno e inospitale, che brilla la mia
stella.
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