Non siamo isole

Storia di un seme che morendo fa nascere un grande albero

Un angolo di conforto e di confronto

Post n°22 pubblicato il 08 Febbraio 2010 da Raf_ADMOpiemonte
 

Ecco una cosa che vorrei fare qui, su questo blog: parlare di morte e condividere con chi ci è passato il modo di affrontare questo momento così forte della vita.

Non la nostra morte, che arriverà un giorno o l'altro, e non ci lascerà dire "Ehi, aspetta un attimo...".  Non quando capita a un conoscente, uno di cui dici, poverino.... ma la morte di chi ci è vicino e a cui vogliamo bene. Un parente, un amico, il coniuge o forse la peggior morte che ci possa toccare: quella di un figlio. Perché quando arrivano queste morti, hai ricordi sulle spalle e progetti nelle mani e boccioli di sentimenti che non hai saputo o non hai potuto annaffiare. E resti sempre spiazzato, il puzzle della tua vita si scompone improvvisamente e tu non ne capisci più il senso e non sai da dove ricominciare. C'è uno "ieri" in cui quella persona c'era e pensavi che con lei avresti voluto ancora fare o dire tante cose. E ci sono un "oggi" e un "domani" che sembrano infiniti in cui ti senti vuoto, disperato perché quella persona, che in fondo al cuore amavi così tanto, no, non c'è più.

E allora come si fa ad affrontare questa morte? Spesso in Associazione mi trovo di fronte a persone che hanno appena perso un pezzo di sé, come se ad un albero avessero staccato un ramo verde dal tronco e la ferita brucia e piange. Quel ramo mancherà per sempre ed al suo posto non ne potrà mai nascere un altro; ed è così difficile farsene una ragione. E' difficile a chi sta intorno trovare le parole giuste per confortare, Perché parole giuste non ce ne sono. Spesso è più giusto stare in silenzio e compatire. Com-patire: patire insieme. 

Gli ultimi che ho incontrato, anche se solo virtualmente, sono i genitori di Julian, che in questo blog avevano cercato per lui un donatore di midollo e nello stesso blog ora piangono per la sua piccolissima vita spezzata. E se entri nel blog non puoi che piangere con loro.

Bisogna avere il coraggio di pensare che andare avanti a vivere non è un torto che facciamo a chi non c'è più, ma è un dovere nei confronti di chi è ancora accanto a noi e ci vuole bene. Guardiamoci intorno: qualcuno che ci ama c'è sicuramente. Per lei o per lui dobbiamo ricominciare a sorridere, anche se non sappiamo dove prenderlo quel sorriso. Questo non si può fare dopo una settimana, e neanche dopo un mese, ci vogliono tempo, stagioni, anni. Ma quando sentiamo che il dolore ci sta travolgendo dobbiamo farlo. 
Ci sono tanti modi per andare avanti, non c'è una regola, sarà l'istinto di sopravvivenza che ognuno di noi ha dentro a dirci come, ma sempre tenendo nel cuore il loro ricordo. Tre esempi davanti ai miei occhi:

La mamma di Rossano: ha vissuto i primi anni in depressione e nel dolore più atroce. E' sempre stata una casalinga, quindi non poteva trovare "fuori" un appiglio, ha vissuto la morte e la sua personale risurrezione tra le mura della sua cucina. La famiglia le è stata vicina, molte persone sono andate a trovarla. Il grande aiuto sono stati i due nipotini nati nel '92 e nel '96, che ha allevato, a cui ha cucito e ricamato lenzuola e golfini. Ora è una anziana donna serena, nonostante un ictus l'abbia semi-paralizzata.

Il papà di Rossano: ha dato vita, con alcuni amici e parenti, all'ADMO. E' un progetto talmente grande che è difficile da raccontare, bisogna viverlo. Per lui ADMO è Rossano: il giorno successivo al funerale di suo figlio, è partito con il suo testamento in mano e con il proposito di compiere "un'azione al giorno". Ha percorso chilometri, ha parlato, ha pianto, ha costruito, ha incontrato tante mani tese, ha ricevuto anche porte in faccia e non si è mai fermato. Ora ha quasi 77 anni e sta lavorando per costruire una casa di accoglienza per le famiglie dei malati. Perché abbiano quello che lui e sua moglie non hanno avuto: un materasso su cui dormire per stare accanto al loro caro ammalato. Come lui e con lui, non mi stancherò mai di ricordarlo, tanti padri, madri, o parenti o amici che combattono la stessa battaglia in Italia e nel mondo.

Il mio piccolo cammino: io che avrei voluto fare grandi castelli, ho lasciato troppo spazio alla mia mente e la mente mi ha divorata.  Per dieci anni il seme lasciato per me da Rossano è rimasto in un cassetto, anni di disperazione solo apparentemente infruttuosa. Avevo il cuore pietrificato. Poi ho ricevuto, senza chiederlo e senza meritarlo, il dono della Fede e mi sono abbandonata a mamma Provvidenza. Fede che ha dato un senso ad ogni cosa fatta, ad ogni esperienza vissuta, positiva o negativa che fosse stata. Ho lasciato un lavoro da manager e ho trovato un posto dentro l'Associazione, dove faccio fruttare le mie esperienze con un unico obiettivo: recuperare un donatore di midollo in più, dare una speranza ad un malato, nel nome di Rossano.

Dopo vent'anni ognuno di noi ha ritrovato momenti di gioia e di serenità, la ferita ha smesso di spurgare, il seme è germogliato...
Ecco, mi piacerebbe che dentro questo blog confluissero altre esperienze, perché chi sta cercando una via d'uscita da questo tunnel buio, trovasse qui qualche piccola parola-lanterna.

PS: I genitori di Julian hanno creato anche loro una Fondazione, in bocca al lupo.

 

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