Ecco una cosa che vorrei
fare qui, su questo blog: parlare di morte e
condividere con chi ci è passato il modo di
affrontare questo momento così forte della vita.
Non la nostra morte, che
arriverà un giorno o l'altro, e non ci
lascerà dire "Ehi, aspetta un attimo...". Non
quando capita a un conoscente, uno di cui dici,
poverino.... ma la morte di chi ci è vicino e a
cui vogliamo bene. Un parente, un amico, il
coniuge o forse la peggior morte che ci possa
toccare: quella di un figlio. Perché quando
arrivano queste morti, hai ricordi sulle spalle
e progetti nelle mani e boccioli di sentimenti
che non hai saputo o non hai potuto annaffiare.
E resti sempre spiazzato, il puzzle della tua
vita si scompone improvvisamente e tu non ne
capisci più il senso e non sai da dove
ricominciare. C'è uno "ieri" in cui quella
persona c'era e pensavi che con lei avresti
voluto ancora fare o dire tante cose. E ci sono
un "oggi" e un "domani" che sembrano infiniti in
cui ti senti vuoto, disperato perché quella
persona, che in fondo al cuore amavi così tanto,
no, non c'è più.
E allora come si fa ad
affrontare questa morte? Spesso in Associazione
mi trovo di fronte a persone che hanno appena
perso un pezzo di sé, come se ad un albero
avessero staccato un ramo verde dal tronco e la
ferita brucia e piange. Quel ramo mancherà per
sempre ed al suo posto non ne potrà mai nascere
un altro; ed è così difficile farsene una
ragione. E' difficile a chi sta intorno trovare
le parole giuste per confortare, Perché parole
giuste non ce ne sono. Spesso è più giusto stare
in silenzio e compatire. Com-patire: patire
insieme.
Gli ultimi che ho
incontrato, anche se solo virtualmente, sono i
genitori di Julian, che in
questo blog
avevano cercato per lui un donatore di midollo e
nello stesso blog ora piangono per la sua
piccolissima vita spezzata. E se entri nel blog
non puoi che piangere con loro.
Bisogna avere il coraggio
di pensare che
andare
avanti a vivere non è un torto che facciamo a
chi non c'è più, ma è un dovere nei
confronti di chi è ancora accanto a noi e ci
vuole bene. Guardiamoci intorno: qualcuno che ci
ama c'è sicuramente. Per lei o per lui dobbiamo
ricominciare a sorridere, anche se non sappiamo
dove prenderlo quel sorriso. Questo non si può
fare dopo una settimana, e neanche dopo un mese,
ci vogliono tempo, stagioni, anni. Ma quando
sentiamo che il dolore ci sta
travolgendo dobbiamo farlo.
Ci sono tanti modi per andare avanti, non c'è
una regola, sarà l'istinto di sopravvivenza che
ognuno di noi ha dentro a dirci come, ma sempre
tenendo nel cuore il loro ricordo. Tre
esempi davanti ai miei occhi:
La mamma di Rossano: ha
vissuto i primi anni in depressione e nel dolore
più atroce. E' sempre stata una casalinga,
quindi non poteva trovare "fuori" un appiglio,
ha vissuto la morte e la sua personale
risurrezione tra le mura della sua cucina. La
famiglia le è stata vicina, molte persone sono
andate a trovarla. Il grande aiuto sono stati i
due nipotini nati nel '92 e nel '96, che ha
allevato, a cui ha cucito e ricamato lenzuola e
golfini. Ora è una anziana donna serena,
nonostante un ictus l'abbia semi-paralizzata.
Il papà di Rossano: ha
dato vita, con alcuni amici e parenti, all'ADMO.
E' un progetto talmente grande che è difficile
da raccontare, bisogna viverlo. Per lui ADMO
è
Rossano: il giorno successivo al funerale di suo
figlio, è partito con il suo testamento in mano
e con il proposito di compiere "un'azione
al giorno". Ha percorso chilometri,
ha parlato, ha pianto, ha costruito, ha
incontrato tante mani tese, ha ricevuto anche
porte in faccia e non si è mai fermato. Ora ha
quasi 77 anni e sta lavorando per costruire una
casa di accoglienza per le famiglie dei malati.
Perché abbiano quello che lui e sua moglie non
hanno avuto: un materasso su cui dormire per
stare accanto al loro caro ammalato. Come lui e
con lui, non mi stancherò mai di ricordarlo,
tanti padri, madri, o parenti o amici che
combattono la stessa battaglia in Italia e nel
mondo.
Il mio piccolo cammino: io
che avrei voluto fare grandi castelli, ho
lasciato troppo spazio alla mia mente e la mente
mi ha divorata. Per dieci anni il seme lasciato
per me da Rossano è rimasto in un cassetto, anni
di disperazione solo apparentemente infruttuosa.
Avevo il cuore pietrificato. Poi ho
ricevuto, senza chiederlo e senza meritarlo, il
dono della Fede e mi sono abbandonata a mamma
Provvidenza. Fede che ha dato un senso ad ogni
cosa fatta, ad ogni esperienza vissuta,
positiva o negativa che fosse stata. Ho lasciato
un lavoro da manager e ho trovato un posto
dentro l'Associazione, dove faccio fruttare le
mie esperienze con un unico obiettivo:
recuperare un donatore di midollo in più, dare
una speranza ad un malato, nel nome di Rossano.
Dopo vent'anni ognuno di
noi ha ritrovato momenti di gioia e di serenità,
la ferita ha smesso di spurgare, il seme è
germogliato...
Ecco, mi piacerebbe che dentro questo blog
confluissero altre esperienze, perché chi sta
cercando una via d'uscita da questo tunnel buio,
trovasse qui qualche piccola
parola-lanterna.
PS: I genitori di Julian
hanno creato anche loro una
Fondazione, in
bocca al lupo.