Da ragazzo per me le parole morte bianca
evocavano la fine tragica di certi esploratori polari, o i due
cugini di mio padre dispersi in Russia nel 1941. Richiamavano
alla mente
distese desolate, immense, in cui il calore del
corpo lentamente si disperde cedendo al gelo, all’immobilità. Al silenzio. Davanti a
quelle parole, morte bianca, pensavo all’isba che appare nel
film Il dottor Zivago,vetri e muri coperti di ghiaccio, che mi
avevano spaventato da bambino. Parlare di morti bianche per le
vittime del lavoro mi sembra assurdo. Qual è il colore delle
altre morti? C’è la Morte Nera, certo. Anzi, ce ne sono due: la
grande peste del XIV secolo e la stazione orbitale di Darth
Vader. Morte bianca fu anche quella di Otto Rahn, l’inventore
del mito del Graal, sulle montagne del Tirolo, il 13 marzo 1939.
E poi c’è la Morte Rossa di Poe, quella che invade e trasforma
in un mattatoio il palazzo del principe Prospero. Non ricordo
altri colori associati alla parola “morte”. Mentre c’è un titolo
bellissimo, di un romanzo di Pontiggia, che contiene quella
parola: La morte in banca. Tra “la morte bianca” e “la morte in
banca” c’è solo una enne minuscola di differenza. La enne che un
matto potrebbe ricamarsi o scriversi sul petto, credendosi
Napoleone. Di conquistatori ne girano, di questi tempi, ai
vertici delle banche. La morte in banca. Titolo geniale. Perché
in banca, o anche fuori, ma comunque di banca, si muore. Non sto
pensando solo alla morte fisica, come quella di chi crepa per
infarto allo sportello o si schianta contro un platano alle sei
di mattina per raggiungere una filiale lontana a cui è stato
trasferito per punizione. Sto pensando alla morte interiore. A
quella lenta perdita di sentimenti e speranze che trasforma un
uomo, o una donna, in un automa. Quella che rende la tua vita un
paesaggio freddo e bianco, una landa desolata in cui perdi il
senso delle proporzioni. In cui le passerelle della realtà su
cui cammini giorno per giorno si fanno sempre più strette e
scivolose. Io ne ho viste cose, che voi umani non potreste
immaginarvi. Ho visto le migliori menti della mia generazione
presentarsi a colloqui d’assunzione in cui, come in una
selektion ad Auschwitz, venivano fatte batterie di domande tese
a esplorare il “potenziale” delle nuove “risorse umane”. Ho
visto scartare le personalità più brillanti. Ho visto le
risposte giuste assicurarti un punteggio negativo. La troppa
ambizione, la troppa intelligenza, non vanno bene in banca, come
forse in nessuna azienda moderna. L’intelligenza genera
disadattati, frustrati. Ho visto, fra gli altri, un ragazzo che
fino al mese prima indossava una maglietta degli Iron Maiden e
aveva un piercing al labbro. L’ho visto seduto sulle scomode
poltrone in finta pelle dell’atrio della banca, in attesa del
colloquio. Indossava un completo grigio comprato su consiglio di
sua madre in qualche Mercatone. Il buco del piercing mascherato
dal fondotinta. L’ho guardato a lungo, cercando sul suo volto
una traccia anche minima del disprezzo con cui mi aveva guardato
dalla panchina. Oggi, sei anni dopo, il ragazzo guida un SUV
Lexus. Vende titoli, polizze, quote di fondi d’investimento. Ha
vinto una crociera premio offerta dall’assicurazione di cui
piazza i prodotti. Non trovi anima, in fondo ai suoi occhi.
Gioventù, ampia, lussureggiante, amorosa. Gioventù piena di
grazia, di fascino, di vigore,
cantava Walt Whitman. Gioventù destinata a
perdersi nei riti della timbratura, del caffè
coi colleghi, delle relazioni con la vicina
d’ufficio incontrata al fotocopiatore. Gioventù
destinata a svilirsi in riunioni che servono a
condividere, a validare decisioni prese in alto,
là dove volano le stock option. Gioventù piena di
grazia, di fascino, di vigore, destinata ad adeguarsi all’uso di
neologismi orrendi come matchare, beggiare, budgettare,
profilare...
Destinata a inserirsi in un sistema “produttivo”
che delle banche di un tempo ha conservato solo il nome e la
forma, da quando ai vecchi banchieri sono subentrati i
finanzieri. Un cambiamento epocale che un mio amico, in banca da
trent’anni, riassume così: “il banchiere è come un contadino, il
finanziere invece ha la mentalità del cacciatore.
Il contadino non necessariamente ama le bestie
che alleva, ma comunque ne ha cura. Il
cacciatore no . Lui le abbatte a fucilate.”
L’importante è realizzare il budget, da cui dipendono il
prestigio e i ricchi premi dei capi. Anche a costo di piazzare
una polizza vita a una pensionata ottantenne. L’importante è
vendere, vendere, vendere. Il budget è la prima causa di morti
bianche nelle aziende di credito. Il raggiungimento del budget
rappresenta l’obiettivo mistico, il Graal del colletto bianco
bancario, la sua ragione di vita aziendale. Non raggiungere il
budget può avere ripercussioni catastrofiche a livello
personale. Ma già l’obiettivo è di per sé mortifero, fonte
d’ansia e di depressione, e di non rare morti che poi andranno
attribuite a fattori generici quali lo stress, o la
disattenzione alla guida. Come se i morti nelle camere a gas dei
campi di sterminio venissero classificati sotto la voce “morte
accidentale da soffocamento”. L’isola un tempo felice (almeno
all’apparenza) della banca è diventata l’isola di Lost. Ho visto
uffici persi in fondo a corridoi che sembrano un incubo di Kafka,
un delirio di Borges. Stanzette dal soffitto basso, illuminate -
si fa per dire - da oblò assediati dai piccioni, oltre i quali
il paesaggio è una terrazza incatramata, coperta di cicche
piovute dai piani più alti. In quelle stanze all’ultimo piano
vive – o sopravvive – una fauna aziendale di “esuberi” obbligati
a compiti ripetitivi. Dei Sisifi in sedicesimo, costretti a
spingere il macigno della noia fino in fondo alla giornata, e
poi di nuovo in cima.
Esistono anche uffici più luminosi, vasti open
space divisi in cubicoli, ognuno occupato
da un PC, una scrivania, una sedia con ruote
(chissà perché, dato che quelle sedie non
vanno mai da nessuna parte), e appese alle tre
mezze pareti foto, disegni di bambini,
cartoline di spiagge tropicali. Che umanità può
occupare spazi simili? Morlock o Eloi? O una metafisica unione
mistica delle due razze? Carnefici e vittime uniti nella stessa
dolente sostanza? A mano a mano che i vecchi bancari vanno in
pensione vengono sostituiti da giovani leve dai contratti sempre
meno favorevoli, dalle prospettive di crescita sempre più
ristrette. Nuove leve disposte a tutto, convinte che tutto ha un
prezzo. Abituati a non farsi domande. Certi ragazzi appena
assunti hanno l’aspetto altero degli ufficiali di Ernst Jünger.
Rigidi e impettiti, eleganti, impassibili. Incapaci di un no.
Per quale guerra vengono addestrati? Contro chi? L’11 settembre
2001 l’ho vissuto nel chiuso dell’ufficio titoli di una banca.
Una stanza senza finestre. Prima, parecchi minuti prima che il
Boeing 767 American Airlines colpisse la Torre Nord del World
Trade Center, gli indici sugli schermi mostravano già vistose
anomalie. Spostamenti di denaro, assestamenti incomprensibili
del mercato. Era come vedere i primi segnali di un terremoto su
un sismografo. Era una Rivelazione. La trama oscura del nostro
tempo era su quegli schermi, scritta in verde smeraldo: numeri,
virgole, decimali. Il linguaggio dell’Apocalisse. Chini sugli
schermi, i volti degli addetti titoli riflettevano i numeri e i
grafici, come nella scena in cui l’astronauta di Kubrick tenta
di disattivare HAL 9000. Solo che quei tecnici, quei colletti
bianchi, non disattivavano nulla. Facevano parte del processo.
Erano essi stessi parte della Matrice. In uffici non diversi da
questo, altri tecnici - veri e propri scienziati pazzi
dell’economia - progettano oggi strumenti finanziari tanto
sofisticati che loro stessi non hanno idea di come funzionino,
di quali possano essere le loro conseguenze una volta introdotti
nel mercato.
Uffici come questo occupavano i piani delle Twin
Towers. Una guerra viene combattuta ogni giorno, con pochi morti
e tantissimi dispersi. Una guerra contro nessun nemico
apparente. Il palazzo del principe Prospero si spopola ai dodici
rintocchi della Morte Rossa.Otto Rahn s’incammina nel buio,
nella tormenta. Davanti agli occhi l’immagine del Graal. La voce
straniata di Morrissey, in sottofondo, canta Come, come, come,
nuclear bomb.
Satisfiction n-3
" Le morti"
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