La morte
appartiene a tutti. Non si può
scappare. Eppure dinanzi alla morte,
alla radicalità della separazione,
non si riesce a trovare un senso: la
morte è il male radicale, è la porta
che si chiude inesorabilmente alle
spalle dei nostri cari, che
oltrepassano una soglia da cui
nessuno ritorna.
Quando muore una persona cara, il
tempo improvvisamente si svuota, si
immobilizza. Ti senti immersa in un
mondo senza dimensione. Smarrimento,
senso di vuoto, vertigine. Quella
persona scompare e tu continui a
cercarla, a chiamarla… La
nostra società non vuole
sentirne parlare se non per
esorcizzarla, per allontanarla da
noi il più possibile, vuole quasi
pensare che un giorno potrà
distruggerla, aver ragione di lei.
Da qui viene, credo, un accanimento
terapeutico che non trova altra
spiegazione. Si vuole tenere in vita
un corpo senza anima per non
accostarci alla morte con umiltà
accettandola perché far parte di noi
come la vita. Così le togliamo
dignità…La sofferenza per la morte
di chi amiamo è un evento prima di
tutto personale, privato. Si deve
vivere prima di tutto dentro se
stessi. Dobbiamo accettarla,
trasformare il nostro rapporto con
chi ci ha lasciato in qualcosa che è
diverso… La vita
riprende a scorrere se noi
ristabiliamo un accordo con noi
stessi, se noi troviamo legami-altri
da quelli che ci avevano tenuti in
vita legati ad una persona. Ma
soprattutto abbiamo bisogno di
imparare a sostenere la “visione di
vuoto” che deriva dalla mancanza,
dalla consapevolezza delle
finitudine della vita di chi amiamo,
ma anche della nostra, se impariamo
ad accettare la sofferenza, ad
accettare il sentimento del nostro
dolore, solo allora si potrà
trasformare in ascolto più pacato di
ciò che ci hanno lasciato, in
quell’affetto nostalgico che si
rivela nutrimento della nostra
anima. Si dice in modo forse
consolatorio che chi muore vivrà in
te. Questo lo sento più vero di “è
lassù che ci guarda”… forse… ma
questo non lo posso sapere. Che vive
in me, sì, lo sento…Oggi Marisa
Sannia avrebbe compiuto 62 anni, un
anno fa le ho parlato al telefono… e
oggi questo tipo di comunicazione si
è interrotta. Pochi mesi se n’è
andata. ma oggi le parlo dentro di
me, in un dialogo che non cesserà...
Marisa era una mia amica, ma era
anche un personaggio pubblico. Era
conosciuta, è stata molto popolare
negli anni 70. Poi ha continuato a
cantare e a comporre canzoni. I mass
media non sempre le hanno fatto
onore, hanno saputo apprezzare e dar
rilievo ai suoi ultimi CD. Eppure
nelle sue ultime canzoni c’è lei,
c’è la sua anima, c’è quello che ha
sentito, pensato e ciò in cui ha
creduto. E questo lei lo voleva
comunicare. Noi, suoi amici, siamo
qui per cercare di mantenere questa
memoria.
Quello che è stata esiste dentro di
noi, ognuno di quelli che l’ha
conosciuta si porta dentro qualcosa
di lei e quello che ha lasciato è lì
a nostra disposizione: è la sua
musica. E’ così che oggi voglio
pensarla. Non so se esiste un’altra
vita. So che Marisa è qui, dentro di
me e mi parla, con la sua musica,
con i ricordi. I ricordi sono miei e
suoi, fanno parte di quella sfera
privata che non si divulga, a cuio
non si mette il megafono, ma la
musica è di tutti, è un dono che ci
ha fatto, perché chi è disposto ad
impegnarsi come ha fatto lei, senza
nessun guadagno vuol dire che lo ha
fatto per puro amore dell’arte. E
quando ciò accade, questo è davvero
un dono. Presenterò nel tempo le
canzoni che ha scritto, le
presenterò a modo mio, per riavviare
quel dialogo che ho interrotto così
bruscamente il giorno che mi hanno
comunicato che era mancata, ma che è
continuato a vivere i me ogni volta
che l’ascolto cantare.
Ciao Marisa, ti ho voluto e ti
voglio molto bene.
Vi ho lasciato
per ora una delle sue canzoni del
nuovo CD uscito a novembre Rosa de
Papel.
Altri miei
post su Marisa lì troverete
qui
postato nel
blog "Pensare in un altra luce"da
giuba47