ROBERTA ARCESE
Viserba
(RIMINI) 22 Luglio 2004-
...18.07.2003 “Si dolce amica, spero che le cose vadano meglio,
perché non sto benissimo ora. Baci la tua amica...”.
...22.07.2003 “ Piccola mia, va abbastanza bene, speriamo bene negli
altri giorni che verranno...”.
Sono gli ultimi due messaggi che mi hai mandato al telefonino... poi
hai cominciato a stare troppo male...
A settembre sarà un anno che te ne sei andata, ed io sono qui, a
Viserba, come la scorsa estate. Erano questi i luoghi in cui vivevo
il lento e doloroso distacco da te. Ora sono ancora qui, e guardo
dal balcone lo stesso panorama di sempre... alle 6.00 del mattino
una pigra Rimini che si alza e raccoglie i bagordi notturni. Mi
piace l’alba, tu lo sai bene. Quando eravamo in vacanza ero il tuo
incubo: “Ma come fai a svegliarti così presto! Uffa... voglio
dormire...!” e giù il cuscino sulla testa borbottando
continuamente... Puoi sentirmi? Io ne sono certa ed è con te che
parlo in questi giorni regalandoti i miei pensieri più intimi e
cogliendo nel mondo intorno le tue risposte. Già, perché tu vivi
nelle cose con la stessa intensità da quando eri qui con noi. Come
faccio a sentirti? Facile! Sto in silenzio ad ascoltarti... e per
fortuna ti sento ancora... io ti sentirò sempre... “Piccola mia...”.
Quanto mi piacciono queste due parole. Volevo ringraziarti per
avermele scritte, perché sono parole avvolgenti, rassicuranti... mi
proteggono, ecco! Curioso no? Te ne stavi andando ed io non riuscivo
a dirti nulla che non fossero le banali e pietose bugie di rito.
Invece tu ti rivolgevi a me chiamandomi “piccola mia”, “ dolce
amica”, invertendo i ruoli e i canoni della vita come avevi sempre
fatto, cogliendo il meglio di ogni cosa e di ogni persona. Mi fa
bene leggere quelle parole... lo faccio spesso. Continuerò a
scriverti nei prossimi giorni; c’è voluto un anno per cominciare, ma
dovevo maturare questo bisogno, dovevo raccogliere le idee e
superare il dolore... Così ho cominciato questo strano epistolario
unilaterale, anzi apparentemente unilaterale che spero mi consenta
di parlarti ed insieme a te di raccogliere i ricordi e le storie più
importanti del percorso di vita che ho avuto la fortuna di
percorrere con te per un tratto della mia esistenza e che mi ha
cambiato totalmente, regalandomi esperienze che hanno scolpito le
caratteristiche della mia personalità e della mia sensibilità.
Con infinita nostalgia
Roberta
Paestum,30 Luglio 2004
Come al solito sono in giro per l’Italia
a raccogliere gli scampoli dell’estate ed a salutare gli amici di
sempre. Tuttavia non è di questo che voglio parlarti oggi.
Non è per parlarti di me che ti scrivo, ma per due articoli apparsi
su “Repubblica ” di oggi, che mi hanno riportato a te. Entrambi, uno
di Bernardo Valli e l’altro di Eugenio Scalfari, erano un sentito
ricordo di Tiziano Terzani, il giornalista e scrittore morto in
questi giorni portato via dallo stesso male che ha strappato te da
noi. So che stai già borbottando, sull’oggetto del mio discorrere,
ma credo che mi sia necessario trascrivere alcuni passi di questi
articoli, perché mi ci sono sentita dentro a pié pari e ci ho
sentito dentro anche te. Di lui Bernardo Valli dice che era un uomo:
“ ...al tempo stesso forte e sensibile, coriaceo e vulnerabile, a
volte ombroso a volte espansivo...”. E poi “... di questa ricca vita
(di Tiziano), di questa riuscita esistenza, ha avuto la fortuna di
condividere alcuni stralci, tra i più intensi, fino a maturare e ad
appropriarmi di sentimenti simili a quelli che si hanno tra
fratelli- E- Dio solo lo sa! – quanto quei sentimenti possono essere
al tempo stesso forti e conflittuali. Se non fossero tali non
sarebbero fraterni- Con Tiziano gli slanci si alternavano ai
silenzi- Ma anche nei silenzi, per quanto lunghi, sapevamo entrambi
che essi non spegnevano, né attenuavano, l’amicizia- Questa parola
con lui aveva un senso profondo- Resta patrimonio da conservare...”
Eugenio Scalfari... “il suo ultimo “giro di giostra” è durato a
lungo, forse più a lungo di quanto volesse o sperasse- O forse no –
Ci si attacca comunque alla vita e agli affetti della vita, ai
luoghi, ai panorami, ai fiumi e alle grandi montagne che la vita ti
ha fatto incontrare e tra le quali hai trovato l’essenza di te anche
quando sei pronto al distacco finale- Anche quando tutti gli addii
sono stati già pronunciati, le energie consumate e la pace
finalmente venuta a spegnere dolcemente dolori, gioie, passioni ”. E
ancora “ Era bellissimo Tiziano, un apparizione inconsueta, una
presenza che riempiva quelle nostre piccole stanze di lavoro, così
funzionali, rumorose, ronzanti di apparecchi, di voci, di trilli
telefonici, di movimenti frettolosi per arrivare prima degli
altri... per vincere la gara...” Allora, somiglia o no a quella
ragazza bellissima che tutti hanno chiamato “ raggio di sole ,” che
entrava in una stanza e illuminava non solo gli oggetti materiali,
ma l’animo di chi aveva la fortuna d’incrociarla? Lo so, non sei più
arrabbiata! E allora per finire ti dedico un passo di una
conversazione di Tiziano Terzani con il figlio, che uscirà in un
libro postumo.
Da “Repubblica” del 30 Luglio 2004
|
|
|
IL
GRANDE INVIATO VESTITO DI BIANCO
di Eugenio Scalfari
Il suo “ultimo giro di giostra” è durato a
lungo, forse più a lungo di quanto volesse e sperasse.
O forse no. Ci si attacca comunque alla vita e agli
affetti della vita, ai luoghi, ai panorami, ai fiumi e
alle grandi montagne che la vita ti ha fatto
incontrare e tra i quali hai trovato l’essenza di te
anche quando sei pronto al distacco finale. Anche
quando tutti gli addii sono già stati pronunciati, le
energie consumate e la pace finalmente venuta a
spegnere dolcemente dolori, gioie, passioni. E Tiziano
era pronto ormai da un pezzo. Almeno da quando aveva
deciso di sottrarsi alle cure aggressive della
medicina occidentale e affidarsi alla natura, alle sue
erbe, alle virtù medicamentose che esse contengono e
che la sapienza millenaria dell'Asia ha distillato
goccia a goccia per accompagnare il tuo ritorno in
seno alla Terra.
Ora più che mai, ogni giorno— aveva scritto — è
davvero un altro giro di giostra". Quello di ieri, 29
luglio, col conforto di Angela, di Fosco e Saskia, è
stato l'ultimo del suo vissuto di viaggiatore
partecipe sempre più contemplativo man mano che la
giostra girava rallentando il suo ritmo e attutendo la
sua sonagliera. Ma non era, non è mai stato, un uomo
che avesse rinunciato alla sua individualità per
annichilirla nell'estatica del nirvana. Al contrario:
aveva un alto concetto del sé ed anche un'alta
consapevolezza del proprio io e perfino della sua
fisica e rappresentativa apparenza. Ricordo ancora
quando, tanti anni fa, entrò per la prima volta nella
nostra redazione di Piazza Indipendenza, vestito alla
foggia indiana, con i pantaloni bianchi stretti alle
caviglie e la tunica candida e lunga fino ai ginocchi,
le mani giunte nel saluto rituale. Era bellissimo,
Tiziano, un'apparizione inconsueta, una presenza che
riempiva quelle nostre piccole stanze di lavoro, cosi
funzionali, rumorose, ronzanti di apparecchi, di voci,
di trilli telefonici, di movimenti frettolosi per
arrivare prima degli altri, prima di tutti, per
vincere la gara, per carpire una battuta, un
retroscena, un'esclusiva. Tiziano conosceva bene quel
mondo giornalistico, frequentava da anni quel
formicaio internazionale, a New York, ad Amburgo, a
Milano e in tutti i luoghi dove i suoi committenti
l'avevano inviato a raccontare. In Asia soprattutto,
dalla Malesia al Giappone, dalla Cina alle Filippine,
dall'India al Vietnam e alla Cambogia. Si era cacciato
in mezzo alle guerre e alle guerriglie, alle torture e
alle stragi. Aveva raccontato le movenze della bestia
umana ma anche la sua pietà verso le sofferenze
altrui, il coraggio e la paura, il sangue e le
preghiere. È stato un grande inviato e poi anche un
grande scrittore. Persino un grande attore che ha
messo in scena la sua vita giocando più sull'assenza,
sulla lentezza, sui movimenti armoniosi che
contenevano e preparavano il balzo improvviso, il
pensiero illuminante e il senso di quanto vedeva
svolgersi attorno a lui, davanti ai suoi occhi di
testimone. Talvolta sbagliò, come accade a tutti
coloro che partecipano e spesso partecipando
parteggiano. Sbagliò sul Vietnam, sbagliò sulla Cina
della rivoluzione culturale. Così almeno confessò a se
stesso e sulle pagine dei giornali per i quali
lavorava quando si accorse che i fatti tradivano in
qualche modo il senso che lui aveva creduto di
cogliervi. Quando credette di aver sbagliato non si
limitò a farne pubblica ammenda ma si mise all’onesta
e caparbia ricerca di un altro senso da dare a quei
fatti.
Noi di Repubblica, nel corso della sua lunga
collaborazione al nostro giornale, fummo testimoni e
palestra della sua ricerca, della sua narrazione dei
fatti e dell'interpretazione che ne dette, soprattutto
in Vietnam, in Laos, in Cambogia, in tutto il Sud-Est
asiatico che per anni fu il luogo privilegiato del suo
lavoro. In coscienza credo che nessuna delle sue
contrapposte interpretazioni fosse sbagliata. Credo
invece che ciascuna cogliesse una parte del senso:
l'eroica battaglia d'un piccolo popolo che lotta per
la sua indipendenza, la ferocia disumana di quella
guerra, i mezzi spaventosi che vi furono impiegati
dagli uni e dagli altri e lo stravolgimento dei fini
che essi determinarono; infine il sogno della libertà
rivendicato dagli uni e dagli altri e tradito da
entrambi sotto la spinta dell'eroismo che diventa
vendetta e rabbia e della pulsione all'indipendenza
che diventa orgoglio e crociata.
Così, molti anni dopo, era fatale che La rabbia e
l'orgoglio dell'Oriana Fallaci incrociasse sulla
sua
strada le Lettere contro la guerra di Tiziano
Terzani. Sarebbe fazioso un mio giudizio sui testi e
sui loro autori. Personalmente ho sentito una profonda
e totale ripulsa per il primo e un'adesione temperata
per il secondo che mi è parso un messaggio troppo
totalizzante e quindi anch'esso ideologico, librato
nelle regioni dell'utopia.
Ma dopo qualche mese da quel confronto anche
editoriale che assunse i contorni di una vera gara di
tirature, mi resi conto che per i giovani Tiziano era
diventato una sorta di profeta, un educatore di
passioni civili e di sentimenti umanitari. Un monaco.
Molti di loro vissero quelle lettere contro la guerra
come un testo religioso. E forse lo era. Ora che la
sua vita è cessata e il suo corpo e l'energia che
l'animava sono tornati ai liberi elementi ho grande
rimpianto di non essergli stato vicino negli ultimi
mesi. Rimpianto e dolore per l'amico che non c'è più e
che mai come ora è presente nel ricordo.
(tratto da "la Repubblica", 30 luglio 2004)
♥Chiudi
|
|
|