Amicizia cancellata ai
tempi di Internet
di Umberto
Galimberti |
Quando all’amicizia si
chiede lealtà vuol dire che già l’ombra di un tacito contratto
impoverisce la magia di questa parola già troppo abusata per
catalogare amori che non si vogliono svelare, rapporti coniugali
resi esangui dalla quotidianità, conoscenze utili a scambi di
favori, relazioni ipocrite che un giorno possono rivelarsi
vantaggiose.
Nulla di più, ma soprattutto nulla
che possa dare espressione a quel bisogno di immaginazione di cui si
nutre l’anima quando nei fatti vuol trovare dei significati. Nel
dolore un argine, nella gioia una comunicazione, nella monotonia
della ripetizione un lampo di novità.
Tutto ciò non è possibile nella solitudine dove il dolore dilaga e
la gioia resta inespressa, e neppure nella gran massa che concede
espressione solo all’applauso o allo slogan, ma unicamente
nell’amicizia, dove la parola si fa affabulatoria, immaginifica,
confidenziale, segreta e soprattutto fuoriesce dalla concretezza,
come richiede il "sano realismo" degli uomini di poche parole, a cui
non verrebbe mai in mente di chiedere alla luna "che ci fa in cielo"
o a se stessi "che ci fanno qui sulla terra".
In solitudine queste domande
restano inespresse o soffocate. In mezzo alla gente che frequentiamo
possono generare sospetto, perché troppo cariche di senso per
poterlo esplorare in solitudine, e troppo fuori dall’usuale per
poter essere accolte in pubblico come domande "serie".
Eppure sono queste le domande di
cui si nutre l’anima, poco realistiche ma cariche di simbolismo, per
dare spazio alle quali gli antichi Greci, accanto al singolare e al
plurale, avevano inventato il "duale", che è lo spazio
dell’amicizia, dove ogni parola che rinvia a un’eccedenza di senso
non rischia di apparire folle, perché l’ascolto dell’amico non è
solo un ascolto razionale, ma aperto a tutti gli sconfinamenti di
senso, che è prerogativa del cuore. Ma dove trovare il tempo?
Non è il tempo che ci manca, è la
capacità di stare l’uno con l’altro in quella forma intermedia che
non è la fusione dell’amore e neppure l’anonimato dei rapporti
impersonali, è la capacità di muoverci in quella zona di confine tra
le prescrizioni della ragione e quegli sprazzi di follia che di
continuo attraversano la nostra anima e che solo l’amicizia sa
accogliere.
Perché proibirci questo spazio?
Tuteliamo l’amicizia. Forse è l’unico spazio che ci rimane per un
residuo di sincerità, una sorta di riunificazione con noi stessi. A
meno che ciascuno non sia diventato per se stesso il maggior
ingombro da evitare, quando non da affogare con le cose da fare, per
non trovarci mai a tu per tu con questo sconosciuto che lo sguardo
accogliente dell’amico potrebbe incominciare a raccontare, a
delinearne i contorni, a propiziarci l’incontro.
È infatti la scoperta di noi
quello che l’amicizia favorisce e propizia. Perché è con se stessi
che bisogna essere leali, non necessariamente con il "vecchio
amico".
Umberto Galimberti *
da “la
Repubblica”, 12 febbraio 2008
* Umberto Galimberti, uno
fra i più affermati filosofi italiani, nato a Monza nel 1942, è
titolare della cattedra di Filosofia della storia all’Università Ca’
Foscari di Venezia. Firma fra le più autorevoli de La Repubblica,
è autore di libri di grande successo tradotti in svariate lingue,
fra cui Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica
(1999) ed il recente L’ospite inquietante. Il nichilismo e i
giovani (2007). Altre sue importanti opere sono Heidegger,
Jaspers e il tramonto dell’Occidente (1975), Psichiatria e
fenomenologia (1979), Il corpo (1983), La terra
senza il male. Jung dall’inconscio al simbolo (1984) e
Gli equivoci dell’anima (1987).
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